Su Cuba ho scritto poco, non ho avuto molte occasioni di andare ad usare internet, ero a casa di Alessandro e Ariocha, vedendo al meglio come tirano a campare i cubani, vivendo in casa di una famiglia non legata direttamente al turismo e per il resto girando, con la macchina noleggiata, con gli autobus e con le vecchie automobili americane anni 50, per vedere altre realtà e fare il turista fai da te come è mio solito, anche se ero con amici e non solo come sono abituato a viaggiare. A “La Habana”, ci son stato per pochi giorni. Appena arrivati abbiamo preso un autobus con destinazione Santiago de Cuba, tutta la notte in strada, e le case della periferia della capitale mi ricordavano le strade di Managua, stesse case basse, fatiscenti, colorate e con pesanti inferriate alle porte e alle finestre. Due giorni invece li ho trascorsi quando dovevo prendere l’aereo per il Venezuela, circa un mese dopo, accompagnato da Alessandro e Georby, il fratello di Ariocha, con una QuQu, piccolissima macchina cinese, a noleggio, ospitati da degli zii. Il “Granma”, la nave con cui Fidel Castro salpò dal Messico per raggiungere Cuba e lanciare la sua rivoluzione contro Battista nel 1956, ora si trova dentro un’enorme scatola di vetro a temperatura costante nel cortile del museo della Rivoluzione Cubana, circondata da carri armati e aeroplani usati per prendere il potere. Il Granma, i blindati esposti, le fotografie, i documenti, il vecchio palazzo presidenziale che ospita il museo e dove un commando di studenti venne decimato nel tentativo di assassinare Battista, sono simboli che celebrano il duro cammino dell’isola verso la dignità e l’indipendenza dagli Stati Uniti. Però a cuba “hay que luchar”. La maggior parte dei cubani esprime il suo dissenso, non sul terreno della politica, ma su quello dell’economia. Il mercato nero è dappertutto, è onnipresente, è uno degli dei di Cuba. I cubani cercano di migliorare la loro situazione prendendo ciò che possono dal posto di lavoro. Quello che non usano lo vendono. Questo “Mercato” straccione, questa "Economia" basata sulla scarsità e la finta cecità da parte dello stato socialista, fanno si che il sistema, un po' zoppicante, si regga in piedi. Tutti ci marciano e tutti sanno che una Cuba capitalista non sarà mai una Germania o una Repubblica Ceca ma piuttosto una Haiti o una Repubblica Dominicana. Quando Fidel se ne andrà, e il sistema attuale cadrà per far posto al vero capitalismo, la fame di oggi si trasformerà in malnutrizione, i piccoli furti in rapine a mano armata, i lavoratori che oggi non fanno niente diventeranno disoccupati di massa, la corruzione di oggi diventerà etica pubblica. A Cuba tutti vogliono cambiare. E a Cuba tutti hanno paura di cambiare. Anche con tutti i problemi economici, Cuba presenta i bambini meglio nutriti, gli scolari meglio assistiti di tutti i paesi dell’America Latina che ho visto. Dicono che la rivoluzione ha tante colpe, chiede troppi sacrifici alla gente, però tutta questa fatica sembra garantire un futuro ai bambini. Ma a dire il vero io non vedo questo futuro, un presente eccellente, non c’è che ammetterlo, però non ho visto futuro nelle ragazzine di quindici o sedici anni che ci proponeva un ragazzo, loro coetaneo, vicino al malecon de L’Avana. Ma mi piace pensare anche che Cuba non è solo L’Avana.
Questo è un diario di viaggio, senza presunzioni.
Cronache, racconti, appunti, memorie delle mie avventure, a volte con frasi prese in prestito da libri, riviste, giornali o copia-incolla da siti internet.
Continuavo a considerare me stesso normale e folle il resto del mondo, tuttavia con mia grande costernazione a poco a poco mi resi conto che i miei amici pensavano esattamente il contrario. Eppure non mi sentivo turbato da particolari demoni interiori. Conoscevo la verità: il mondo -il nostro mondo occidentale- era folle. Non riuscivo a entusiasmarmi pensando alla carriera o alla pensione. Avevo bisogno di una scintilla capace di accendermi, di uno scopo, di un ideale per cui battermi. Attorno a me vedevo una società che aveva smarrito il senso dell' interesse collettivo, della comunità. Dove il futuro non andava oltre i bilanci per l' anno successivo. Una società "innaturale", nel senso letterale del termine: dove i bambini crescevano senza essersi mai arrampicati su un albero e incapaci di riconoscere le costellazioni. Una società materialista che aveva perduto la percezione della gioia di essere vivi, e l' aveva rimpiazzata con armadi modulari dell' IKEA. Era un mondo incasinato, in cui non riuscivo a trovare né uno scopo, né uno spazio. "Mark Mann" -Sul Gringo Trail-
Da dove mi visitate
"Mille anni fa come adesso, cantastorie e menestrelli, rocker e rapper, sono lì a cantare l'altra storia, quella che la gente vuol sentire e il palazzo vuol far sparire. Ma la musica vola. Inafferrabile e imprendibile. Come si fa a metter in gabbia una canzone? Come si può uccidere un ritmo, una ballata, uno stornello?" DarioFO