Nella rivista Sub Underwater Magazine n° 407 di Agosto/Settembre ci sono le foto e il racconto della mia visita di qualche tempo fa ai mulini sommersi di Capo d'Acqua, in Abruzzo
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domenica 8 agosto 2021
sabato 10 luglio 2021
giovedì 1 luglio 2021
Reportage Vomv Gaz
Il racconto e le foto della visita al relitto della Vomv Gaz sono diventati un articolo sul numero 68 di Giugno di Giroinfoto Magazine
lunedì 28 giugno 2021
Immersione all'orto di Nemo
Il cielo è limpido in questa giornata di fine giugno, il mare calmissimo e il sole si riflette come in uno specchio, vado a far colazione al bar del campeggio dove ho passato la notte, caffè e cornetto al cioccolato. Sono a Savona a poche centinaia di metri dal ponte che la divide da Vado Ligure. Mi faccio una doccia, sistemo le mie cose, chiudo la tenda e poi con la macchina mi dirigo verso Noli, una quindicina di chilometri a ponente, dove ho appuntamento per un'immersione al Nemo's Garden alle 14, è presto ma voglio fare un giro per vedere un po' la costa e Capo Noli, percorrere per un po' l'Aurelia che si snoda tre le falesie a picco sul mare, in uno scenario aspro ma molto suggestivo e scenografico, e voglio anche vedere dove si trova il diving center per cercare un parcheggio il più vicino possibile.
La mattinata è davvero fantastica e nonostante sia lunedì, molte persone sono già in spiaggia. Una volta parcheggiato me ne vado in un chiosco con vista mare e faccio merenda con due pezzi di focaccia e una coca cola in completo relax, vado a fare un giro per il centro storico di Noli, un antico importante centro marinaro, dal 1192 per circa cinquecento anni la capitale della repubblica omonima, legata alla repubblica di Genova.
Si avvicina l'ora dell'appuntamento, prendo il borsone dal baule della macchina e mi dirigo verso il diving che si trova all'interno del complesso dell'hotel Capo Noli, a pochi passi dall'acqua del mare. Arrivo un po' in anticipo ma trovo già la guida che mi accompagnerà nell'immersione. Facciamo due chiacchiere, firmo qualche scartoffia, mi da una bombola, preparo l'attrezzatura. Una volta pronti ed indossata l'attrezzatura facciamo i pochi passi verso l'acqua con le pinne in mano, quando l'acqua mi arriva più o meno all'altezza dello stomaco ci infiliamo anche le pinne e comincia l'immersione. Non ci dirigiamo subito verso il Nemo's Garden (o orto di Nemo) ma più in profondità, per ammirare una gorgonia solitaria in mezzo alla sabbia e risalendo, alcuni bassi scogli che affiorano dalla sabbia. Potrebbero essere anche cose interessanti ma io fremo per vedere ciò per cui sono venuto fino a qui.
All'improvviso, mentre risaliamo seguendo la pendenza del fondo e la profondità piano piano diminuisce, si cominciano ad intravvedere le sagome delle cupole trasparenti ancorate al suolo con delle grandi catene e quello che sembra lo scheletro di un albero, l'impressione è quella di trovarmi al cospetto di una città futuristica di un qualche lontano pianeta o una fantomatica città sommersa venuta fuori da un racconto di fantascienza. Mentre ci avviciniamo l'emozione aumenta, il colpo d'occhio è impressionante.
L'orto di Nemo è un progetto sperimentale molto interessante e molto suggestivo, in poche parole si tratta di una serra per coltivazioni idroponiche, ovvero senza l'uso della terra, sotto la superficie del mare, composta da sette biosfere ancorate su un fondale tra i sette e nove metri, monitorate con sofisticate attrezzature da una sala controllo fuori dall'acqua che osserva temperature, umidità, ossigeno, anidride carbonica e altri fattori importanti per le piccole coltivazioni. Le biosfere sono delle mezze sfere di robusto plexiglas trasparente di circa due metri di diametro e una capienza di duemila litri d'aria, fissate al suolo con delle grosse catene, vuotate dall'acqua dove, con diversi sistemi di supporto, si coltivano diversi tipi di piante, hanno cominciato con il basilico, la coltura più tipica della Liguria e ingrediente essenziale per il pesto, per poi coltivare fragole, lattuga, erbe aromatiche ed altre piante. La bassa profondità e la trasparenza delle biosfere garantiscono che i raggi del sole portino la luce sufficiente per la fotosintesi clorofilliana. La temperatura quasi stabile dell'acqua durante il giorno e l'escursione termica che si verifica all'interno tra la notte e il giorno, fanno si che l'acqua di mare all'interno, sul fondo della biosfera, evapori e si condensi sulla superficie interna della semisfera che scivolando si incanala e si raccoglie per poi, con l'aggiunta dei giusti nutrienti, va ad alimentare le piante che sviluppandosi in un ambiente tanto particolare, praticamente chiuso, crescono sane e velocemente senza l'ausilio di pesticidi o insetticidi.
L'idea geniale comincia a prendere forma nell'estate del 2012 con una piccolissima biosfera dove venne piantato del basilico e anno dopo anno le biosfere si ingrandirono e aumentarono fino alle odierne sette, grazie ai continui ed esaltanti successi.
Il progetto è anche quasi del tutto eco sostenibile, gli impianti di controllo e monitoraggio sono alimentati da dei pannelli solari posti vicino alla spiaggia antistante.
Le sette biosfere, con l'albero in metallo, che riprende la forma dell'albero della vita dell'expo di Milano 2015, formano un'oasi nel fondale sabbioso dove brulica la vita marina e mentre flutuo e nuoto tra le strutture, mentre ammiro e scruto dentro le diverse biosfere, sono circondato da tantissimi pesci di diverse forme e colori e riesco anche a vedere due bellissimi cavallucci marini.
Nella bombola ho ancora più della metà dell'aria ma dopo poco più di un ora arriva il momento di risalire ed uscire dall'acqua, nonostante l'immersione in pochi metri d'acqua, il tempo è volato e l'avventura è stata molto gratificante ed entusiasmante.
Avevo in programma solo l'immersione al Nemo's Garden ma il diving riesce ad organizzarmi un altra immersione, sempre da riva, dal lato opposto di quella precedente, tra gli scogli e il sabbione, quindi dopo una pausa al bar e qualche chiacchiera indosso di nuovo la muta e l'attrezzatura e sempre con le pinne in mano raggiungiamo la spiaggetta da dove inizia l'immersione. Il mare e la visibilità sono sempre ottimi e anche quest'immersione si rivela facile e molto interessante, anche questa a scarsa profondità e quindi abbastanza lunga, poco più di un ora. Finita l'immersione mi dicono che il giorno seguente col gommone si va a fare un immersione nei fondali dell'isola Gallinara e decido di unirmi a loro, lavo la mia attrezzatura e la metto a sgocciolare per poi lasciarla li. Vado al bar a bere una birra poi con calma rientro al campeggio veramente soddisfatto della giornata.
martedì 25 maggio 2021
Relitti della Seconda Guerra Mondiale
La mostra fotografica "I relitti della seconda guerra mondiale" esposta a La Gargotta del Popol Giost, un osteria in centro a Reggio Emilia, con qualche foto e racconto in più, è diventata anche un articolo sulla rivista "Giroinfoto Magazine" numero 67 di Maggio da pagina 66 a pagina 78
mercoledì 5 maggio 2021
Il relitto della Vomv Gaz
Al porto di Ravenna, in una zona che sembra dimenticata da tutti tranne che dai gabbiani, in fondo alla zona industriale della “Pialassa” all'imbocco del canale Piomboni, c'è quello che sembra a tutti gli effetti un cimitero di navi, col cielo un po' nuvoloso e a tratti plumbeo e un vento fortissimo che alza sabbia e polvere, l'atmosfera è molto tetra.
Parcheggiamo la macchina nel parcheggio dell'ultima ditta prima che la strada finisca in un cancello da cantiere spalancato, poi ci inoltriamo a piedi, sulla sinistra tanti rimorchi di camion uno dietro l'altro, sulla destra un campo con una distesa di gabbiani con nidi, uova e pulcini, appena ci notano, molti si alzano in volo e cominciano a stridere sempre più forte.
La stradina arriva ad una specie di collinetta che sembra artificiale con un piccolo canale con acqua disgustosa che ci interrompe l'avanzamento, quindi proseguiamo paralleli al canale e alla collinetta entrando nel campo a destra, dove finisce la recinzione, strapieno di gabbiani, anche quelli che rimangono a terra ci urlano contro e quelli in volo si avvicinano paurosamente, scendendo in picchiata per poi risalire rapidamente, mi ricorda vagamente il film “Gli Uccelli” di Alfred Hitchcock, per terra tanti nidi con uova e mamme coi pulcini, in aria probabilmente i maschi che vogliono spaventarci e mandarci via. Arrivati al mare, il piccolo canale è prosciugato e possiamo attraversare, oltre la collina, si vede l'inquietante paesaggio, una prima nave, la Orenburggaz Prom, semi affondata, appoggiata al fondo e piegata sulla sinistra, dietro di noi, dove finisce la banchina in cemento, probabilmente della ditta del parcheggio, fuori dall'acqua si notano i resti affioranti della poppa di un altra grande nave, continuando davanti a noi la Vomv Gaz, ormeggiata con delle gomene a dei corpi morti e le catene delle ancore non in tiro con le ancore insabbiate, appoggiata al basso fondo e praticamente attaccata a terra e facilmente raggiungibile, subito dopo quello che rimane di una piccola nave tutta arrugginita, forse una piccola chiatta o un rimorchiatore, qualche rottame e dei vecchi pneumatici ricoperti di alghe, in fondo, più lontano, un altra grande nave, la V. Nikolaev.
La Vomv Gaz è una delle tre navi, insieme alla Orenburggaz Prom e alla V. Nikolaev, della flotta di grosse navi cargo russo-ucraine portanti bandiera maltese riconducibili ad un unico armatore che facevano la spola tra la Croazia e Ravenna con ghiaia e materiale per l'edilizia, nel 2006 furono abbandonate nella banchina del porto di Ravenna per alcune controversie legali e poi nel 2009 spostate in una zona dove non danno fastidio al traffico portuale, in attesa di essere vendute o demolite.
Dalla fiancata della Vomv Gaz cala una vecchia e malmessa scala a pioli di corda legata ad una bitta, per arrivarci un cumulo di rottami di cemento, legno, ferro e vecchi pneumatici fanno da ponte sul pavimento fangoso e pozzanghere. La scaletta è molto insicura e pericolante ma salire si rivela più semplice di quello che sembra. Una volta a bordo basta scavalcare la battagliola arrugginita e ci troviamo davanti a due porte stagne spalancate, quella a sinistra si apre su un ambiente pieno di bombole di CO2 in fila sui due lati, collegate a piccole tubazioni, la porta frontale entra nella pancia della nave, dove si trovano la cucina, la mensa, la sala ricreativa e le cabine dei marinai. Ormai la decadenza fa da padrona, tutto è arrugginito, vandalizzato, piccioni e colombi ne hanno fatto casa loro e gli escrementi sono dappertutto, si trovano anche tante uova, molti vetri e oblò sono rotti, i materassi e i mobili economici ormai sono marci, dei libri rovinati e quasi illeggibili, con caratteri in cirillico, un tavolo da bigliardo senza piedi e ammuffito giace ancora nella sala relax insieme a divanetti e poltrone marcescenti. Un grosso quadro elettrico in uno stanzone alto almeno due piani, con delle ringhiere e aperto in centro con diversi strumenti e altri quadri elettrici, scale che scendono alla sala macchine che è ormai allagata. Si esce a poppa, un argano e diverse bitte color ruggine e due relitti fanno inquietante figura sullo sfondo.
Saliamo i vari piani del castello di poppa fino ad arrivare al ponte di comando, vandalizzato, col pavimento in legno ormai marcio e sfondato in alcuni punti. Gli strumenti e i telegrafi di bordo sono stati rotti, una poltrona e dei computer, un libro aperto mangiucchiato dai topi, uno dei tanti telefoni a cornetta, la sala radio con qualche strumento vandalizzato, delle scale portano al piano di sotto, con altre cabine, probabilmente quella del capitano, che ha il bagno, il televisore e qualche vaso con i resti di piantine secche, continuiamo ad andare su e giù per i vari piani, corridoi bui e pieni di escrementi di uccelli e piume, altri telefoni in altre cabine e nei corridoi. Sgabuzzini con dei ricambi elettrici o idraulici. Passiamo all'esterno, seguendo la battagliola arriviamo alla grande coperta di carico, sembra un campo da calcio in metallo, con il castello di poppa che si staglia alto verso il cielo come un palazzo di periferia, arriviamo a prua, per salirci un corridoio buio e delle scale ormai sfondate dalla ruggine, i grandi argani salpa ancora, bitte, grossi rotoli di gomene, una grossa ancora di rispetto, un pulcino di gabbiano impaurito tra due lamiere. Scendiamo sotto la prua, alcuni ambienti completamente bui, forse un officina e scaffali con ricambi e altre gomene.
Anche scendere dalla nave con la scaletta di corda si rivela più semplice di quello che sembrava guardando la discesa dalla battagliola. Una volta a terra vado dietro il relitto per ammirare la poppa da terra, si notano le pale dei timoni e le eliche fuori dall'acqua.
Il rientro all'auto è più impressionante che raggiungere le navi, il vento è più forte e continua ad alzare polvere e sabbia, i gabbiani sono molto più aggressivi, si avvicinano pericolosamente, stridono forte, ci girano intorno a pochi metri di distanza, salgono e scendono in picchiata virando vicinissimi lanciando escrementi. Finalmente arriviamo alla macchina e andiamo a Marina di Ravenna a pranzare con una piadina romagnola e bere una birra.
La nave è lunga centonove metri e larga sedici, su internet trovo che è stata varata nel 1995 in Ucraina, anche se altri siti dicono che le tre navi “russe”, sono della metà degli anni ottanta.
domenica 22 novembre 2020
Il paese fantasma di Craco
Sul numero 61 di Giroinfoto magazine di novembre un altro mio articolo fotografico sul paese fantasma di Craco, visitato quest'estate.
La stretta strada comunale è tutta in salita, solitaria, dissestata quanto basta, piena di crepe e buche, comunque asfaltata, circondata da vegetazione incolta dai colori di fine estate, brulle collinette di argilla e, in lontananza, dei grigi calanchi, curve, contro curve e tornanti, pochi resti di qualche rudere, le alte mura di un cimitero, dei vecchi ulivi che qualcuno cura. All'improvviso, eccolo, come la punta di una lancia, sulla cima del colle che sembra il più alto, dritto, davanti alla strada, freno e mi fermo, lo ammiro emozionato nonostante sia un immagine che ho visto e rivisto decine di volte in questi giorni mentre programmavo questa visita. Mancano ancora alcuni chilometri ma lo spettacolo è quello, i buchi neri che hanno fatto posto alle vecchie porte e finestre sembrano tanti occhi che guardano incuriositi con aria ostile. Mi riprendo, riparto e dopo qualche metro accosto in uno spiazzo dove posso lasciare la macchina e scendere per fare qualche foto, l'angolazione è quella, su internet si possono trovare decine di foto scattate da li, nonostante non sia un classico luogo turistico, ha un forte magnetismo che attira tanta gente. Craco, il paese fantasma.
Proseguo. Sulla sinistra della strada c'è il vecchio convento di San Pietro dei frati minori, una struttura costruita a partire dal 1620, la porta di accesso al paese che dopo anni di abbandono, ristrutturato e messo in sicurezza, ora ospita il “Museo Emozionale di Craco” che con alcuni filmati, didascalie e foto d'epoca, ripercorre la storia di questi luoghi. Da qualche anno il paese è diventato un Parco Museale Scenografico, una specie di museo all'aperto, e si visita il centro storico con un biglietto e accompagnati lungo un percorso messo in sicurezza, purtroppo la notte tra il 21 e 22 agosto hanno incendiato un tunnel del percorso di visita e non essendoci le condizioni di tutela della pubblica incolumità tutte le visite al Centro Storico sono sospese fino a data da destinarsi, lo sapevo, letto sul sito del Parco Museale Scenografico, ma ormai nella mia testa c'era già la visita e non sono riuscito a rinunciarvi nonostante una delle mie passioni è fotografare edifici abbandonati e ruderi ma mi consolo pensando che le foto più interessanti sono fatte al paese visto nel complesso ed in lontananza.
Ciò che ha reso Craco un paese fantasma, un attrattiva insolitamente turistica ed un set cinematografico per diversi film, è stato una serie di eventi calamitosi solo in parte dovuti all'incuria e al comportamento umano, una disastrosa frana nel 1963 ha costretto la maggior parte della popolazione ad abbandonare le proprie case, poi nel 1972 un alluvione peggiorò la situazione con altri smottamenti e dopo il terremoto del 1980 tutto il paese venne completamente evacuato. Gli abitanti negli anni sessanta erano circa duemila e si trasferirono prima in una baraccopoli ai piedi del colle e poi nel nuovo paese di Craco Peschiera costruito più a valle. La struttura del borgo antico sembra che risalga al periodo compreso tra il 1154 e il 1168 ma le prime testimonianze relative al nome “Graculum” sono del 1060 forse un insediamento di monaci italo-bizzantini che iniziarono a sviluppare l'agricoltura nella zona il secolo precedente. Durante il medioevo il borgo era un importante centro strategico militare e sede universitaria.
Il piccolo paese Lucano non fu nemmeno estraneo al fenomeno del brigantaggio nel corso del decennio napoleonico e delle rivolte post-unitarie.
Dalle terrazze panoramiche del convento, toccando le antiche pietre, aspettando come se mi dovessero raccontare una storia, scatto alcune foto, ancora emozionato dalla vista dei ruderi rimasti arroccati sotto la torre normanna che sovrasta tutto. Mi incammino seguendo la strada asfaltata che costeggia la rete messa intorno al paese per evitare di entrare e dopo pochi passi mi si presenta un asino che si avvicina, un bellissimo soggetto da fotografare con lo sfondo della gost town, mi guarda, si gira verso le vuote finestre come se qualcuno lo avesse chiamato, mi riguarda, si mette a brucare. Proseguo e arrivo al cancello, è chiuso e c'è un ragazzo con pettorina e cartellino che sembra fare da guardia, provo a chiedergli se posso entrare, la risposta, anche se con un sorriso, è categorica: non si può. Continuo e seguo la strada a destra che va dietro il paese in salita, fino ad arrivare sotto la torre ed arrivo alla fine, tutto recintato, non si può andare avanti, seguo la rete per un po' in mezzo alle erbacce per ammirare un po' più da vicino alcune grotte, non so se scavate dall'uomo o dall'acqua e il tempo. Torno indietro e costeggio di nuovo il paese dal basso, prendo la strada che va in discesa poi un sentiero che sale fino al paese, in mezzo a dei campi e una ripida salita franosa che salgo con l'aiuto delle mani ed arrivo all'inizio delle rovine, qui non ci sono reti ma si capisce che non ci si può inoltrare, per terra tante macerie e detriti, i ruderi sono a pochi passi, ci penso un po' su ma decido di tornare indietro e appena mi giro sento un forte belato, mi rigiro e noto che poco lontano ci sono delle capre arrampicate sul terreno franato sotto la torre che mi guardano, rimango a guardarle per qualche secondo e cerco di capire se mi stanno invitando o mandando via, un altro belato e un incornata al cielo mi bastano per capire che non sono il ben venuto.
Una volta arrivato sulla strada asfaltata mi metto nuovamente ad ammirare il paese incastonato nel bellissimo paesaggio che lo circonda e mi fermo a fissare quei buchi scuri che una volta avevano le imposte, aspettando una bambina vestita di bianco che si affaccia e mi saluta con la mano, come in un film horror, ma non succede, risalgo in macchina e me ne vado, fermandomi poco più avanti per un ultimo sguardo, e un saluto, dallo specchietto retrovisore.
Visitato Craco il 3 settembre 2020
Scritto il 11 Ottobre 2020
venerdì 9 ottobre 2020
Ex base Nato di Monte Giogo
Escursione in giornata alle parabole dell'ex base NATO, abbandonata, "Livorno" di Monte Giogo, nel Parco Nazionale dell'Appenino Tosco Emiliano, a poco più di due ore di macchina da casa. 1520 metri sul livello del mare.
Questa base era una stazione strategica per le radiocomunicazioni nell'ambito NATO che si collegava con i vari centri di comando e decisionali posti sui confini est dell'Alleanza Atlantica. Fu progettata nel 1956 ed entrò in funzione nel 1960 ed è rimasta attiva fino alla fine degli anni novanta. Molto suggestive le enormi quattro parabole che sorgono sulla cima del monte.

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