A due ore di autobus da Cuenca, salendo a 3200 metri s.l.m. si trova il sito archeologico incaico di Ingapirca, che non è certo paragonabile a Machu Picchu, però è il sito più importante e interessante dell' Ecuador.L'origine degli Incas è avvolta nella leggenda e si fa risalire al 1100, quando dalle acque del Lago Titicaca uscirono i figli del dio Sole, Manco Capac e sua moglie Mama Oclo, che civilizzarono il mondo.Da questo personaggio realmente esistito nacque una dinastia di lingua quechua che regnò per tre secoli nell'area di influenza di Cusco. Ma è al 1438 che si fa iniziare il vero e proprio impero inca, con lo scontro di due popoli, i cuzqueños e i chankas, e la vittoria dei primi, aggressivi guerrieri. Seguì una fulminante ascesa militare, con la conseguente espansione del territorio, l'impero peruviano divenne noto con il nome di Tahuantinsuyo, la terra dei quattro angoli, e si estese fino all'Ecuador, alla Colombia meridionale e al centro del Cile, comprendendo anche la Bolivia andina e l'Argentina del nord. Il 17 raggiungo il terminal con un taxi e alle 9 parte l' autobus diretto per Ingapirca, passando per varie cittadine e qualche villaggio, fermandosi mille volte per far salire o scendere la gente. La parte più interessante del sito è una costruzione che sembra una fortezza, chiamata "el castillo".Come tutte le costruzioni degli inca si possono vedere i classici vani delle porte e le nicchie a forma di trapezio. passeggio per tutto il sito, faccio foto alle rovine e ai lama che pascolano tranquilli tra i pochi turisti e le mura centenarie, poi visito il piccolo museo. L'autobus è fermo nella piazzola davanti al sito, e parte all' una, sembra quasi che mi stesse aspettando. Arrivo a Cuenca poco più tardi delle tre, vado in centro a scattare qualche foto e a pranzare, poi visito un museo di arti popolari, torno in hotel, mi riposo un oretta poi vado a passeggiare per le vie tranquille e coloniali e le poche rovine archeologiche che ancora si possono vedere della città.
Questo è un diario di viaggio, senza presunzioni.
Cronache, racconti, appunti, memorie delle mie avventure, a volte con frasi prese in prestito da libri, riviste, giornali o copia-incolla da siti internet.
Continuavo a considerare me stesso normale e folle il resto del mondo, tuttavia con mia grande costernazione a poco a poco mi resi conto che i miei amici pensavano esattamente il contrario. Eppure non mi sentivo turbato da particolari demoni interiori. Conoscevo la verità: il mondo -il nostro mondo occidentale- era folle. Non riuscivo a entusiasmarmi pensando alla carriera o alla pensione. Avevo bisogno di una scintilla capace di accendermi, di uno scopo, di un ideale per cui battermi. Attorno a me vedevo una società che aveva smarrito il senso dell' interesse collettivo, della comunità. Dove il futuro non andava oltre i bilanci per l' anno successivo. Una società "innaturale", nel senso letterale del termine: dove i bambini crescevano senza essersi mai arrampicati su un albero e incapaci di riconoscere le costellazioni. Una società materialista che aveva perduto la percezione della gioia di essere vivi, e l' aveva rimpiazzata con armadi modulari dell' IKEA. Era un mondo incasinato, in cui non riuscivo a trovare né uno scopo, né uno spazio. "Mark Mann" -Sul Gringo Trail-
Da dove mi visitate
"Mille anni fa come adesso, cantastorie e menestrelli, rocker e rapper, sono lì a cantare l'altra storia, quella che la gente vuol sentire e il palazzo vuol far sparire. Ma la musica vola. Inafferrabile e imprendibile. Come si fa a metter in gabbia una canzone? Come si può uccidere un ritmo, una ballata, uno stornello?" DarioFO