Dall’alto di un balcone panoramico, a Punta Arenas, il capoluogo della Patagonia cilena, si ammira il mosaico di tetti in lamiera colorata delle case in legno e in mattoni che scendono fino a sparire nel famoso Stretto di Magellano. Ferdinando Magellano divenne il primo europeo a navigare lo stretto nel 1520, durante il suo viaggio di circumnavigazione del globo e fino al completamento del Canale di Panamá nel 1914, lo Stretto di Magellano era spesso l'unico modo sicuro di spostarsi tra l'Atlantico e il Pacifico. Dall’ altra parte c’è l’ isola grande della Tierra del Fuego, da qui partono i traghetti, ma dall’ altra parte poi non ci sono autobus per raggiungere Ushuaia, ne altre località dell’ isola, così devo star qua una notte e al mattino presto prendere l’autobus che sale fino a Punta Delgada, sale su un traghetto che attraversa lo stretto, ferma alle frontiere, perché l’isola è divisa tra Cile e Argentina, poi arriva a Ushuaia. La parte cilena dell’ isola è una pampa patagonica ricoperta di fili d’erba gialla e bassi cespugli verdi, quasi grigi, una strada sterrata e poche "estancias", fattorie nel mezzo di immensi terreni dove vi pascolano tante pecore, vacche, e anche tanti guanaco e qualche ñandu, grandi uccelli simili allo struzzo, e dove i gauchos hanno sostituito i cavalli con dei grossi pic-up. La parte argentina invece oltre ad avere la strada asfaltata ha dei paesaggi stupendi, con le montagne ricoperte dai ghiacciai, bei boschi verdi e laghi, anche qui i pascoli sono invasi da mucche e ovini. Quindici ore dopo esser partito da Punta Arenas, arrivo ad Ushuaia, la città più australe del mondo, e come dicono qui, la fin del mundo, anche se dall’ altra parte del canale di Beagle, sull’isola Navarino, c’è la cittadina di Puerto Williams, il capoluogo della provincia Antartica cilena, e anche se molto più piccola, a mio avviso, spetterebbe a questa città il titolo di città più australe. Mi piacerebbe metterci piede, però non esistono traghetti regolari e le agenzie turistiche chiedono duecentoventi dollari, e per quanto mi riguarda sono troppi.
Questo è un diario di viaggio, senza presunzioni.
Cronache, racconti, appunti, memorie delle mie avventure, a volte con frasi prese in prestito da libri, riviste, giornali o copia-incolla da siti internet.
Continuavo a considerare me stesso normale e folle il resto del mondo, tuttavia con mia grande costernazione a poco a poco mi resi conto che i miei amici pensavano esattamente il contrario. Eppure non mi sentivo turbato da particolari demoni interiori. Conoscevo la verità: il mondo -il nostro mondo occidentale- era folle. Non riuscivo a entusiasmarmi pensando alla carriera o alla pensione. Avevo bisogno di una scintilla capace di accendermi, di uno scopo, di un ideale per cui battermi. Attorno a me vedevo una società che aveva smarrito il senso dell' interesse collettivo, della comunità. Dove il futuro non andava oltre i bilanci per l' anno successivo. Una società "innaturale", nel senso letterale del termine: dove i bambini crescevano senza essersi mai arrampicati su un albero e incapaci di riconoscere le costellazioni. Una società materialista che aveva perduto la percezione della gioia di essere vivi, e l' aveva rimpiazzata con armadi modulari dell' IKEA. Era un mondo incasinato, in cui non riuscivo a trovare né uno scopo, né uno spazio. "Mark Mann" -Sul Gringo Trail-
Da dove mi visitate
"Mille anni fa come adesso, cantastorie e menestrelli, rocker e rapper, sono lì a cantare l'altra storia, quella che la gente vuol sentire e il palazzo vuol far sparire. Ma la musica vola. Inafferrabile e imprendibile. Come si fa a metter in gabbia una canzone? Come si può uccidere un ritmo, una ballata, uno stornello?" DarioFO