Dahab, golfo di Aqaba, mar rosso, di fronte alle coste dell'Arabia Saudita, penisola del Sinai, piccola porzione asiatica dell'Egitto. Ho lasciato il New Palace hotel, al Cairo, alle sei del mattino, ho raggiunto la stazione degli autobus ''Cairo Gateway'' a piedi in 10 minuti, ho comprato il biglietto e alle 7,15 l'autobus e' partito. Dopo alcune fermate in altre stazioni del Cairo, appena fuori dalla citta' comincia il deserto, si passa per Suez, ma dormivo e non so se abbiamo attraversato il famoso canale su un ponte o sotto un tunnel. Quindi si passa nella penisola del Sinai, regione luogo di conflitti, rifugi,oggetto di grande curiosita', incuneata tra l'Africa e l'Asia. La grande e terribile terra selvaggia della bibbia, dove Dio lascio' i 10 comandamenti a Mose'. Il tragitto e' caratterizzato da rossicce colline aride e spesso alla destra dell'autobus si vede il mar rosso. Arrivo a Dahab, passando da lontano per Sharm el Sheikh, verso le 15,30, poi con un pick-up raggiungo la zona turistica, sul mare, zona di numerosi hotel, ostelli e bungalov economici. Mi sistemo all' Auski Camp, dove mi ha portato un ragazzo che stava alla stazione e che sicuramente si prendera' una percentuale sul costo della camera. Mi riposo un oretta, esco che il sole e' gia' sceso, faccio un giro per orientarmi e acclimatarmi, il lungomare e' pieno di negozi e ristoranti e l'insistenza di alcuni ristoratori mette a dura prova i miei nervi. Mi riparo in un internet caffe' e poi mi fermo a cenare con un maxi hamburger con uova e una coca cola in una stradina secondaria. Continuo la mia passeggiata sul lungomare, mi bevo una birra egiziana (Stella) e cerco qualche dive center aperto, ma a quest'ora sono tutti chiusi, pero' alcuni hanno i prezzi esposti fuori, cosi che riesco a farmi un idea per fare immersioni nel mar rosso.
Questo è un diario di viaggio, senza presunzioni.
Cronache, racconti, appunti, memorie delle mie avventure, a volte con frasi prese in prestito da libri, riviste, giornali o copia-incolla da siti internet.
Continuavo a considerare me stesso normale e folle il resto del mondo, tuttavia con mia grande costernazione a poco a poco mi resi conto che i miei amici pensavano esattamente il contrario. Eppure non mi sentivo turbato da particolari demoni interiori. Conoscevo la verità: il mondo -il nostro mondo occidentale- era folle. Non riuscivo a entusiasmarmi pensando alla carriera o alla pensione. Avevo bisogno di una scintilla capace di accendermi, di uno scopo, di un ideale per cui battermi. Attorno a me vedevo una società che aveva smarrito il senso dell' interesse collettivo, della comunità. Dove il futuro non andava oltre i bilanci per l' anno successivo. Una società "innaturale", nel senso letterale del termine: dove i bambini crescevano senza essersi mai arrampicati su un albero e incapaci di riconoscere le costellazioni. Una società materialista che aveva perduto la percezione della gioia di essere vivi, e l' aveva rimpiazzata con armadi modulari dell' IKEA. Era un mondo incasinato, in cui non riuscivo a trovare né uno scopo, né uno spazio. "Mark Mann" -Sul Gringo Trail-
Da dove mi visitate
"Mille anni fa come adesso, cantastorie e menestrelli, rocker e rapper, sono lì a cantare l'altra storia, quella che la gente vuol sentire e il palazzo vuol far sparire. Ma la musica vola. Inafferrabile e imprendibile. Come si fa a metter in gabbia una canzone? Come si può uccidere un ritmo, una ballata, uno stornello?" DarioFO