Ranong è una città di frontiera, con quella strana aria che a me piace tanto, trascurata, trasandata, decadente. A Ranong ci sono molti Birmani, molte donne hanno il viso truccato di giallo, talco, le più giovani un velo sottile, quelle più mature invece hanno segni più marcati sulle guance, tanti uomini usano, al posto dei pantaloni, il sarong tipico e vanno scalzi.
Dal Pier (il molo),
Il viaggio è per un tratto sull'estuario del fiume chang, dalle acque torbide e sporche, poi sul mar delle Andamane. Un tragitto piacevole tra isolette e alberi allagati, poi il mare si fa via via più color smeraldo e la barca raggiunge l'isola. Si ferma nelle varie baie, dove ci sono dei bungalows, a lasciare della merce e dei turisti. Tra queste baie il motore collassa, dopo mezz'ora arriva a nuoto il meccanico, credo l'unico dell'isola, e dopo un'altra mezz'ora, con il meccanico ormai fradicio di sudore e non d'acqua di mare, il motore ritorna a sputare fumo nero e far casino. Mi aspettavo di arrivare in un villaggio, magari piccolo, ma un villaggio, invece anche l'ultima fermata è su una spiaggia con alcuni bungalows, mi sistemo in uno di questi, non c'è la corrente, il complesso di casettina sparse su una collinetta ha anche un ristorante.
La spiaggia e un sentiero sulla collina tra piante di caucciù, con la corteccia incisa e una ciotola che raccoglie la gomma. Gli alberi sono tutti ben allineati, non come in Amazzonia, nati spontaneamente tra la selva nella moltitudine di altre piante. Non c'è null'altro a parte la carcassa di un motorino che chissà com'è arrivata qua!
Pranzo, cena e qualche birra “Chang” al ristorante, un bagnetto in mare, un po' di lettura sull'amaca, una passeggiata tra gli alberi di caucciù, una grattatina alle punture di zanzara. Quando fa buio sto un po' nel ristorante con vecchi turisti tedeschi frikettoni poi una candela mi fa compagnia nel mio bungalow insieme al libro sull'Africa che sto leggendo. La mattina mi sposto pigro, dopo colazione, dal letto sotto la zanzariera all'amaca sulla veranda. All'una e mezzo salgo sulla barca per far ritorno a Ranong. Il 13 aprile però cade il capodanno Thailandese e non lo sapevo. Per le strade c'era il delirio, dalle case, dai negozi e dai pick-up colmi di bambini, ragazzi e cisterne, la gente lanciava acqua, gavettoni. Sono arrivato in hotel completamente fradicio e pieno di borotalco, ho dovuto vuotare gli zaini e mettere tutto ad asciugare, per fortuna che con il caldo che c'è la roba è già asciutta e gli zaini quasi. Computer e macchina fotografica salvi!
Le celebrazioni dello Songkran durano tre giorni. La tradizione prevede che la gente scenda in strada e si prenda a secchiate d'acqua, simboleggiando la cacciata della cattiva sorte. Assieme all'acqua viene lanciato anche del borotalco. La festività ha derivazione sanscrita e indica l'ingresso del sole in tutti i segni zodiacali.
Il giorno seguente, sempre col solito pick-up azzurro n°6 vado al molo per il Myanmar, devo rinnovare il visto, per fortuna oggi c'è meno gente in giro che fa gavettoni e mi prendo solo qualche schizzo, ma il passaporto e la macchina fotografica sono comunque al sicuro dentro una busta di plastica ben chiusa.
Ritorno in città col solito mezzo azzurro n°6 scassato, ma stavolta scendo alla stazione degli autobus per chiedere gli orari degli autobus che vanno a Chumphon e ritorno in hotel a piedi.
Mi riposo un'oretta poi esco per cenare e fare una passeggiata, mi fermo un po' in un parco a guardare dei ragazzi che si allenano a fare la break dance, poi arrivo in un punto dove c'è un tempio e tanta gente che mangia in un campo con bancarelle e musica stile festa dell'unità. In hotel rifaccio gli zaini per partire alla volta di Ko Tao.