Dopo il tentativo, fallito, di una doccia gelata, alle 6 del mattino ci troviamo tutti in piazza da dove partiamo per la cruz del condor. La prima sosta é al villaggio di Yanque, dove una signora col suo falco pellegrino ci da il benvenuto e Gianina ne aprofitta per farsi una foto.Nel centro della piazza alcuni giovani ballano danze folkloriche e ai lati c'é chi propone il suo artigianato. La chiesa coloniale é in ristrutturazione e ha la particolaritá di avere due facciate. La strada disestata ci porta poi al villaggio di Maca, distrutto violentemente dal terremoto del 1991, pian piano lo stanno ricostruendo ma si notano ancora molte rovine. Qui non c'é una signora col suo falco ma un caw-boy che ci propone una foto con la sua bellissima aquila, anche qui propongono il loro artigianato o foto insieme ai loro adomesticati lama e alpaca. Dopo varie fermate per veder paesaggi, animali, terrazzamenti preispanici e altre curiositá, il pulmino ci lascia a circa un' oretta di cammino dalla cruz del condor, che raggiungiamo tramite un sentiero a strapiombo sul canion e che ci permette di ammirare il fiume, alcune viscacha, una cascata in lontananza, e finalmente il bellissimi condor che volano a pochi metri dalle nostre spettinate teste. Il pulmino ci aspetta alla cruz, e dopo un' oretta che ci siamo arrivati, ridiscendiamo verso Chivay, sempre con qualche breve sosta qua e la, per il pranzo. La strada per tornare ad Arequipa é la stessa dell' andata, quindi ripassiamo per il passo di Patapampa e la riserva dove i lama, gli alpaca e le vigogne pascola tranquillamente. Ad Arequipa salutiamo i nostri compagni d' avventura e facciamo un giro in piazza, mangiamo un hamburger poi andiamo al terrapuerto a prendete l' autobus che parte alle 8, arrivando 14 ore dopo a Lima.
Questo è un diario di viaggio, senza presunzioni.
Cronache, racconti, appunti, memorie delle mie avventure, a volte con frasi prese in prestito da libri, riviste, giornali o copia-incolla da siti internet.
Continuavo a considerare me stesso normale e folle il resto del mondo, tuttavia con mia grande costernazione a poco a poco mi resi conto che i miei amici pensavano esattamente il contrario. Eppure non mi sentivo turbato da particolari demoni interiori. Conoscevo la verità: il mondo -il nostro mondo occidentale- era folle. Non riuscivo a entusiasmarmi pensando alla carriera o alla pensione. Avevo bisogno di una scintilla capace di accendermi, di uno scopo, di un ideale per cui battermi. Attorno a me vedevo una società che aveva smarrito il senso dell' interesse collettivo, della comunità. Dove il futuro non andava oltre i bilanci per l' anno successivo. Una società "innaturale", nel senso letterale del termine: dove i bambini crescevano senza essersi mai arrampicati su un albero e incapaci di riconoscere le costellazioni. Una società materialista che aveva perduto la percezione della gioia di essere vivi, e l' aveva rimpiazzata con armadi modulari dell' IKEA. Era un mondo incasinato, in cui non riuscivo a trovare né uno scopo, né uno spazio. "Mark Mann" -Sul Gringo Trail-
Da dove mi visitate
"Mille anni fa come adesso, cantastorie e menestrelli, rocker e rapper, sono lì a cantare l'altra storia, quella che la gente vuol sentire e il palazzo vuol far sparire. Ma la musica vola. Inafferrabile e imprendibile. Come si fa a metter in gabbia una canzone? Come si può uccidere un ritmo, una ballata, uno stornello?" DarioFO