Mentre vado a comprare il biglietto per Guayaquill, la mattina del 29 maggio, ne aprofitto per fare un giretto per El Coca, la via principale, il malecon, le vie vicine, arrivo a un ponte che attraversa il rio Napo da dove vedo, in basso, una strana barca con un aereo sopra, non capisco che cosa é, se un ristorante turistico o una discoteca o chissá ché. Vado anche al molo, dove c'é piú gente che la scorsa notte, alcuni con valige e borse, che aspettano una barca per chissá dove e chissá quando. Vicino alle rive del fiume si vedono canoe e peque peque che navigano tranquille e immagino che la vita degli occupanti non é molto diversa dai loro simili ad Iquitos o nel resto della grandissima regione amazzonica compresa tra Perú, Brasile, Ecuador, Bolivia, Colombia, Venezuela, Guayana e Suriname. Alle 12 prendo il mio zaino dall' hotel, vado un pó in internet, a pranzare, poi vado all' agenzia dal bus ad aspettare di partire. Il caldo e l' umiditá sono insopportabili, l' aria é ferma e pesante, la luce del sole fortissima, dietro un bancone dove c'é una sudata impiegata, un ventilatore butta aria calda come se fosse un asciugacapelli. L' autobus parte puntuale alle 4-30 e per un pó segue la strada percorsa per venire, fino a Lago Acrio, poi scende verso sud e alle 9 arriviamo a Tena, dove rimaniamo nella stazione fino alle 10, aprofittando per andare al bagno e cenare. Dopo un pó la strada rimane senza asfalto, inoltrandosi nella foresta per poi cominciare a salire sulle ande e nella notte inizia a piovere e la strada si riempie di fango e pozzanghere, dove ci impantaniamo due volte, sempre a ridosso di un burrone. La notte é scura e piove, fuori dal finestrino non si vede nulla e quando incrociamo qualche altro sporadico mezzo, si vede che stiamo in mezzo alla foresta ecuatoriale sulle montagne in una strada di fango che costeggia senza la minima protezione profondi strapiombi. A volte mi appisolo, ma praticamente non dormo tutta la notte, a causa delle buche, le curve e gli slittamenti dell' autobus.
Questo è un diario di viaggio, senza presunzioni.
Cronache, racconti, appunti, memorie delle mie avventure, a volte con frasi prese in prestito da libri, riviste, giornali o copia-incolla da siti internet.
Continuavo a considerare me stesso normale e folle il resto del mondo, tuttavia con mia grande costernazione a poco a poco mi resi conto che i miei amici pensavano esattamente il contrario. Eppure non mi sentivo turbato da particolari demoni interiori. Conoscevo la verità: il mondo -il nostro mondo occidentale- era folle. Non riuscivo a entusiasmarmi pensando alla carriera o alla pensione. Avevo bisogno di una scintilla capace di accendermi, di uno scopo, di un ideale per cui battermi. Attorno a me vedevo una società che aveva smarrito il senso dell' interesse collettivo, della comunità. Dove il futuro non andava oltre i bilanci per l' anno successivo. Una società "innaturale", nel senso letterale del termine: dove i bambini crescevano senza essersi mai arrampicati su un albero e incapaci di riconoscere le costellazioni. Una società materialista che aveva perduto la percezione della gioia di essere vivi, e l' aveva rimpiazzata con armadi modulari dell' IKEA. Era un mondo incasinato, in cui non riuscivo a trovare né uno scopo, né uno spazio. "Mark Mann" -Sul Gringo Trail-
Da dove mi visitate
"Mille anni fa come adesso, cantastorie e menestrelli, rocker e rapper, sono lì a cantare l'altra storia, quella che la gente vuol sentire e il palazzo vuol far sparire. Ma la musica vola. Inafferrabile e imprendibile. Come si fa a metter in gabbia una canzone? Come si può uccidere un ritmo, una ballata, uno stornello?" DarioFO