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martedì 29 giugno 2010

# Baan Mai NAISOI Temporary Shelter Area





























































































































































25-30 chilometri da Mae Hong Son, nel nord ovest della Tailandia.
La storia che il loro collo non regge più la testa se si liberano dagli anelli è una fesseria... le donne di tanto in tanto si tolgono gli anelli, per lavarsi e far prendere aria alla pelle e rimangono qualche giorno senza, (se dai un occhiata alla nona foto ti accorgerai che la ragazza si è appena tolta gli anelli e poi ne ho incontrato un altra, molto bella anche se con il collo più lungo, che però non ha voluto che gli facessi una foto perchè era solo con il sarong), gli anelli non stringono il collo, i muscoli all'interno si muovono, la deformazione è delle clavicole, che si abbassano. Infatti nei villaggi più turistici di questo, che è un campo profughi vicino al confine con il Myanmar e non facile da raggiungere, sembra che l'ultima trovata commerciale sia vendere le foto di alcune di loro senza gli anelli che se la ridono tra loro o che giocano a pallavolo. Naturalmente non si possono togliere gli anelli tutte le notti perchè è un lavoro lungo ed impegnativo, ma loro sostengono che è una loro tradizione e le ragazze giovani sono libere di scegliere se portarli o meno (se noti c'è anche una ragazza vestita all'occidentale che li porta nascosti da un fazzoletto). Che sia giusto o sbagliato io non lo so, le modificazioni corporali, fanno parte delle varie civiltà umane, di ieri e di oggi.

domenica 13 giugno 2010

# Passaggio in Laos

Mi chiedo perché a volte sono così ingenuo.
L'11 dovevo partire da Sapa alla volta di Dien Bien Phu, per poi prendere un autobus e attraversare la frontiera per entrare in Laos, solo che ha piovuto tutta la notte, tanto, e la mattina l'autobus non parte perché la strada è interrotta da frane. Avevo comprato il biglietto in hotel, e il tizio mi assicura che il giorno dopo la strada sarebbe stata liberata e l'autobus sarebbe partito. Io gli ho creduto, ed in effetti aveva ragione, ma il viaggio è stato un incubo. Ho chiesto varie volte quante ore ci vogliono da Sapa a Dien Bien Phu, e tutti mi dicono 8 o 9 ore, perciò io mi ero fatto l'idea che ci volessero 10 o 12 ore, invece ce ne ho messo molte di più, ben 19.
Intanto mi dicono alle 7:30 in reception ma solo alle 8:30, con una moto mi accompagnano ad un incrocio quasi fuori dalla cittadina, dove ci sono altri turisti che aspettano. Verso le nove arriva un autobus, vecchio e sgangherato, di quelli pubblici, dove ne l'autista ne l'aiutante parlano inglese. Per fortuna trovo il posto a sedere perché dopo un po' che va, l'autobus si riempie e qualcuno deve sedersi per terra, su dei pacchi o valigie che riempiono il corridoio.
Dobbiamo scendere e camminare diverse volte, perché la strada in alcuni tratti scompare per diventare un lago di fango, oppure star fermi ad aspettare perché due veicoli insieme non passano e rimangono incastrati.
Ci fermiamo una mezz'oretta a mangiare poco fuori da Lai Chau, in una baracca su una strada dissestata. È incredibile come questa piccola città persa tra le montagne abbia grandi costruzioni, palazzi e larghi viali asfaltati, ma le strade sono vuote, sembra una città fantasma fuori dal suo contesto, intorno montagne, foreste e fango.
Il viaggio continua e la strada peggiora, oltre alle frane ci sono dei lavori in corso per costruire la nuova strada, e le deviazioni provvisorie, con le piogge sono diventate degli scivolosi pantani, dobbiamo scendere e camminare nel fango, riempiendoci, sotto il sole cocente o la pioggia, più volte.
Col buio arriviamo in un punto dove due camion bloccano la strada. Poco lontano qualche baracca che vende da bere e da mangiare. Dopo tanto tempo ad aspettare, sotto la pioggia e con il fango alle caviglie, ci fanno capire che passeremo la notte li. C'è da mettersi l'anima in pace e rassegnarsi, mi infilo in una baracca, la gente non parla inglese, esclusi gli altri turisti spaesati come me. Cerco di chiedere da mangiare, ma non capiscono, oltre alle parole sembra che anche i gesti qui siano diversi, alla fine mi fanno vedere dei biscotti, che non mi vanno, anche perché la confezione è piena di sabbia e polvere, chissà da quanto tempo sono li, al caldo e all'umido. Mi faccio spazio tra gli avventori fradici e infangati ed entro in cucina, indico il riso e le pentole nere di fuliggine ma la signora, anche se con il sorriso, mi urla in vietnamita e con una mano fa il gesto come per mandar via le mosche. Il suo modo di fare mi da fastidio, così esco e dopo un altra piccola camminata tra il fango sotto la pioggia, entro in un altra capanna. Qui un ragazzo con un simpatico sorriso contagioso parla un pochino di inglese e mi chiede se voglio bere qualcosa. Gli faccio vedere la bottiglia vuota di te freddo e gli chiedo quanto costa, mi dice 15000 dong, io gli dico 10000 e lui mi dice che va bene e ripete più volte “sorry”. Mi invita a sedermi con gli altri avventori, tra cui una donna inglese col figlio che viaggiano sul mio autobus. Gli portano da mangiare riso e pollo, il ragazzo nota il mio interessamento e mi chiede se voglio mangiare. Faccio capire di si, e dopo un po' che cerchiamo di comunicare senza capirci arriviamo ad intenderci. Il pollo è finito e cerca di chiedermi se va bene qualcos'altro, ma non capisco cosa, fino a che la cuoca interviene e mi fa vedere due uova. Va bene, un po' di riso con due uova fritte e una sonora risata liberatoria.
Poco dopo, appena finito di mangiare, arriva il ragazzo dell'autobus e ci fa cenno di andare, la strada si è liberata e l'autista ha deciso di proseguire. Intanto l'autobus si è spostato, salendo lungo la scivolosa, e piena di fango, salita che mi tocca fare a piedi sotto la pioggia. Alle tre e mezzo arrivo alla stazione di Dien Bien Phu, aspetto e alle cinque e mezzo parte il minibus, pieno di gente, pacchi e valige, che attraversa il confine e mi porta a Mueng Khua, la prima cittadina degna di nota al di la della frontiera, in Laos.
Il minibus ha due volte il numero di passeggeri che può portare, e lungo la strada si ferma a caricare altre persone con i loro pacchi, fino a che diventa proprio impossibile, ci sono dei ragazzi che stanno rannicchiati con i piedi sopra lo schienale dei sedili.
Fino al check-point vietnamita, dove scendiamo e ci timbrano il passaporto, la strada non è delle migliori ma è abbastanza agevole, dopo l'ufficio laotiano, dove compro il visto e espleto le lunghe formalità, la strada diventa di nuovo sterrato e fango, con delle frane che vengono rimosse da ruspe mentre aspettiamo, per fortuna non piove e a tutte le soste scendiamo a prendere aria e sgranchirci le gambe, ogni volta che dobbiamo rientrare sembra di giocare a tetris, c'è anche chi imbroglia ed entra dai finestrini.
L'autobus arriva fino alla riva di un fiume, dall'altra parte Mueang Khua, ma non c'è il ponte, i mezzi più piccoli attraversano il fiume su una chiatta spostata a mano, ma noi dobbiamo scendere, prenderci i bagagli e raggiungere l'altra sponda su una piccola, lunga e stretta barchetta. Insieme agli altri turisti, prendo un tuk-tuk per la stazione degli autobus, che è dall'altra parte della cittadina, dove prendiamo l'autobus per Udomxai su una strada abbastanza decente.
Udomxai è un'importante nodo dei trasporti del nord del Laos. Con gli altri viaggiatori inglesi andiamo in una guesthouse dove passiamo la notte, dopo aver fatto bancomat e cenato insieme, aspettando la mattina per prendere l'autobus per Luang Prabang, la mia prima meta nella Repubblica Democratica Popolare Lao.

giovedì 3 giugno 2010

# Hanoi breve

Hanoi, la carismatica città vecchia, con le sue botteghe di artigiani, barbieri per strada, negozi di souvenir, Bia Hoi, il lago con il tempio della tartaruga, il mausoleo di Ho Chi Minh con una lunga coda per vedere la sua inquietante mummia che sembra si alzi da un momento all'altro e ti faccia una pernacchia.
Il tempio della letteratura, costruito secoli fa per onorare i saggi e i mandarini, simboleggiati da grandi tartarughe che portano sul carapace una grande lapide. Poi altri templi, visitati con Jun, una ragazza giapponese che era con me nel tour alla zona smilitarizzata e che ho rincontrato fuori dal museo di Ho Chi Minh e con cui la sera vado a cena e a passeggiare per la città vecchia.
Hanoi.

martedì 1 giugno 2010

# Zona Smilitarizzata, ovvero DMZ

Ieri, con un tour organizzato sono andato a visitare la DMZ.
Sembra che in Vietnam il modo più economico e rapido per visitare i posti interessanti sia partecipare a questi tour e muoversi secondo un percorso stabilito dove si incontrano sempre le solite facce, io mi sento un po' in gabbia, a me solitamente piace visitare i posti per conto mio, invece qua ti fanno tutto difficile se esci dai circuiti che sembrano esser creati apposta per poter controllare i turisti, e mi pare che la gente, fuori da questi circuiti, non gradisca molto il turista, lo imbrogliano, lo evitano, lo maltrattano. Sarà solo una mia impressione?

La zona smilitarizzata (DMZ), ovvero quello che prima dell'unificazione era il confine tra il Vietnam del Nord e il Vietnam del Sud.
E mi viene in mente il bellissimo film “Good Morning Vietnam”.
Dal '54 al '75 la DMZ si estendeva per una superficie di 5 chilometri su entrambe le sponde del fiume Ben Hai. Oggi si fa riferimento soprattutto all'area della sponda meridionale, che durante la guerra, a dispetto del nome, era occupata da basi fortificate americane.

Ho trascorso più tempo in pulmino che nei vari posti d'interesse visitati.
Rock Pile, una montagna che durante la guerra aveva una base americana ma che ora, se non te la indicano, passa completamente inosservata, è la prima sosta, cinque minuti sul ciglio della strada per una breve spiegazione e che io col mio pessimo inglese nemmeno capisco.

Interessante invece la visita ad un villaggio lungo il cammino per andare alla base del combattimento di Khe Sanh, dove si svolse una grande battaglia con tantissime vittime ma di un importanza prossima allo zero. Qui c'è un museo interessante e vari residuati bellici americani.

Ci fermiamo qualche minuto anche sul ponte sopra il fiume Dakrong, ricostruito con gli aiuti di Cuba (???), importante canale di comunicazione sul sentiero di Ho Chi Minh, pochi chilometri dal confine con il Laos.

Si ritorna a Dong Ha per il pranzo poi si va verso nord, si passa sul ponte sul fiume Ben Hai (anche qui più che ciò che si vede di interessante è la storia che la guida racconta e che io mi leggo sulla guida).
Visita alle gallerie di Vinh Moc,
qui i tunnel sono più grandi di quelli di Cu Chi, che ho visitato nei pressi di Saigon, e scendono fino a 23 metri sotto terra, un uscita arriva fino alla spiaggia. C'è anche un piccolo museo con foto e cimeli vari.
Ritorno ad Hué, dove passo la notte e poi, verso le sei, salgo sull'autobus notturno (sleepeng bus) per raggiungere Hanoi, la capitale del Vietnam, ed arrivare in quello che era il Vietnam del Nord, ufficialmente chiamato Repubblica Democratica del Vietnam.

gigipeis

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