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lunedì 30 aprile 2007

I 30 anni delle madri di plaza de mayo

di Maurizio Salvi BUENOS AIRES

- Un gruppo di Madri, ormai con i capelli bianchi ed il passo malfermo, celebrano in Argentina, anche a nome delle compagne che non ci sono più, i 30 anni di uno storico gesto: la decisione di andare sulla Plaza de Mayo di Buenos Aires per chiedere "la restituzione in vita" dei figli fatti sparire nel nulla dalla dittatura del generale Jorge Rafael Videla. Il ricordo è ancora nitido: sabato 30 aprile 1977, ore 16,30: un appuntamento di quelli che facevano paura. Una decina di donne, madri di ragazzi che scomparsi nel nulla, avevano scelto di dire basta alle lunghe, inutili, attese negli uffici di polizia, organismi religiosi o ambasciate, e di sfidare invece apertamente la giunta militare proprio sulla piazza dove si affacciava la Casa Rosada presidenziale. All'epoca, per la verità, la parola 'desaparecido' non esisteva. Ogni tanto 'La razon', 'La prensa', e gli altri quotidiani della capitale, pubblicavano i bollettini della giunta militare di Videla e dell'ammiraglio Emilio Eduardo Massera che annunciava "la morte in combattimento" di guerriglieri in rivolta contro i poteri dello stato. Quando nel 1983 in Argentina ritornò la democrazia, si ebbe la conferma che i desaparecidos erano molte migliaia - 30.000 secondo le stime degli organismi di difesa dei diritti umani - e che fra essi vi erano anche centinaia di cittadini italiani. Un fatto questo, che fece infuriare il presidente italiano Sandro Pertini che non esitò a scontrarsi con l'ultimo governo 'de facto' argentino per aver sostenuto in un 'Documento finale' che i desaparecidos erano "tutti morti". E la presidentessa delle Madri di Plaza de Mayo, Hebe de Bonafini, ha ricordato in una intervista al quotidiano Clarin "le lunghe ore di conversazione con Fidel Castro o con il presidente italiano Pertini". "L'idea di fare qualcosa di diverso - racconta una madre, Josefa Garcia de Noia - venne ad Azucena Villaflor de Vicenti, mentre attendeva con altre madri un'udienza dal cappellano militare mons. Emilio Grasselli. 'Questa attesa e' inutile', disse, perché noi dobbiamo andare in Plaza de Mayo a gridare forte il nostro dolore e la nostra richiesta di giustizia". Ma il sabato non era il giorno giusto, perché la piazza era deserta e la protesta non coinvolgeva l'opinione pubblica. Si passò così al giovedì. Le 'madri' giungevano alle 15,30 e restavano in silenzio 30 minuti senza nulla in mano, poi mostrando le foto dei figli scomparsi. La polizia lasciò prima fare, quindi intimò alle donne di muoversi, perché lo stato d'assedio proibiva le riunioni di più persone. Così nacque la processione, che dura ancora oggi, intorno alla piramide che si trova al centro della piazza. All'inizio solo dieci, le 'madri-matte', così le chiamavano le fonti ufficiali, raggiunsero il numero di 3-400. L'idea del fazzoletto sulla testa nacque una volta che le 'madri' dovevano farsi riconoscere in una processione nel santuario della Madonna di Lujan. "Perché non rispolveriamo i pannolini dei nostri figli e con essi non ci copriamo il capo?", propose una madre. E così il pannolino bianco divenne il simbolo del movimento.

Indiana e Mazan

Indiana è un tipico villaggio sulle rive del rio Amazonas, un molo, un piccolissimo mercato, una chiesa, qualche casa di mattoni, un centro sportivo, campetti da calcio infangati e tante capanne di legno col tetto di paglia. Per arrivarci prendiamo un "deslizador" (una specie di motoscafo) dal porto de productores, a poche "cuadras" da casa, che impiega circa un' ora a discendere, prima, il rio itaya, e poi il rio delle amazzoni. Pranziamo al mercato, perchè i due ristoranti che ci sono hanno già finito i pasti, poi facciamo un giretto per il malecon che dà sul grande rio, e dove un gruppetto di uomini stà scuoiando una vacca recentemente uccisa, contornati da vari curiosi, donne e bambini. Visitiamo un "campamento", che ci dicono sia un posto turistico, ma in realtà è solo un piccolo laghetto con qualche ponte in legno e una capanna nel centro e oltre noi due c'è solo un bambino che ci ha accompagnato, una vacca e tanti uccelli colorati. Ritorniamo al mercato e prendiamo un motocarro che ci trasborda a Mazan, pochi chilometri da lì, ma sulle rive del rio Mazan alla confluenza con il rio Napo. per arrivarci la stretta strada in cemento attraversa la foresta, in certi punti allagata e poi qualche fattoria con campi coltivati.
Anche Mazan è un tipico villaggio amazzonico, sembra anche più piccolo di indiana, però il suo malecon mi piace di più, sembra un pò più curato e il mercato sembra un pò, ma solo un pochetto, più grande e più pulito. Dalla strada centrale, con un motocarro raggiungiamo il rio amazonas, praticamente tagliando in linea retta la foresta, e arrivando a un molo che chiamano "varadero de Mazan", e dopo qualche minuto di attesa arriva un motoscafo che ci trasporta di nuovo ad iquitos, e dopo un breve acquazzone io mi metto sulla punta della barchetta a gustarmi l'aria fresca e lo spettacolo del Rio delle Amazzoni. e non posso negare che è un luogo molto suggestivo, anche se i miei compagni di barca, esclusa forse Gianina non se ne rendono conto, vivendo probabilmente da sempre sulle rive del grande fiume ed essendo abituati a quello spettacolo della natura.
Durante il tragitto che dal Varadero de Mazan ci porta ad Iquitos, la barca scarica una signora a circa metà strada, dove, tra la vegetazione ci sono delle capanne con alcune gabbie, è un serpentario, e mentre la signora scarica la sua mercanzia e passa sopra gli altri passeggeri, io scendo a dare una veloce occhiata e in una gabbia c'è un anaconda,
che ha probabilmente mangiato da poco perchè ha una grossa palla dentro la sua bella pellaccia ed ha una testa grande come un melone.

domenica 22 aprile 2007

Ritorno ad Iquitos

Le giornate a Lima passano tranquille, tra i centri commerciali e Miraflores, la presenza dell' oceano si sente e mi mette di buon umore, le notti altrettanto, davanti alla tv del Rodas, godendomela fino in fondo perché a Iquitos non ho il televisore.

Un piacevole incontro con Roberto, un italiano e Jessica, la sua ragazza peruana, che ho conosciuto la volta scorsa qua in perú, a Yurimaguas, nel barcone che ci ha trasportato ad Iquitos, in quell' occasione stavo malissimo, la notte prima avevo bevuto, assetato, acqua dal rubinetto dell' hotel, cosí mi ero preso una bella infezione intestinale con tanto di febbre alta e loro si son presi gentilmente cura di me per tutto il viaggio, circa tre giorni, navigando prima sul rio Huallaga, poi nel rio Marañon ed infine, poco dopo Nauta il rio Amazonas. Cosí, dopo esserci messi daccordo in internet, telefono e ci incontriamo all' ovalo di miraflores, una passeggiata per il parco, poi beviamo qualcosa in un locale in avenida Larco e ci facciamo prendere dalle chiacchiere. Prima di prendere ogniuno la propia via peró ci fermiamo a visitare e fare una puntata all' Atlantic City, un grande casinó stile Las Vegas.



Il 17, alle tre e venti parte l' aereo per Iquitos, e il posto vicino al finestrino mi regala superbe viste, prima del oceano, perché l' aereo esce in mare prima di virare e alzarsi sopra le innevate cime andine e poi ridiscendere nel mare verde della foresta amazzonica.

sabato 21 aprile 2007

Colca 13/4

Dopo il tentativo, fallito, di una doccia gelata, alle 6 del mattino ci troviamo tutti in piazza da dove partiamo per la cruz del condor. La prima sosta é al villaggio di Yanque, dove una signora col suo falco pellegrino ci da il benvenuto e Gianina ne aprofitta per farsi una foto.Nel centro della piazza alcuni giovani ballano danze folkloriche e ai lati c'é chi propone il suo artigianato. La chiesa coloniale é in ristrutturazione e ha la particolaritá di avere due facciate. La strada disestata ci porta poi al villaggio di Maca, distrutto violentemente dal terremoto del 1991, pian piano lo stanno ricostruendo ma si notano ancora molte rovine. Qui non c'é una signora col suo falco ma un caw-boy che ci propone una foto con la sua bellissima aquila, anche qui propongono il loro artigianato o foto insieme ai loro adomesticati lama e alpaca.
Dopo varie fermate per veder paesaggi, animali, terrazzamenti preispanici e altre curiositá, il pulmino ci lascia a circa un' oretta di cammino dalla cruz del condor, che raggiungiamo tramite un sentiero a strapiombo sul canion e che ci permette di ammirare il fiume, alcune viscacha, una cascata in lontananza, e finalmente il bellissimi condor che volano a pochi metri dalle nostre spettinate teste
. Il pulmino ci aspetta alla cruz, e dopo un' oretta che ci siamo arrivati, ridiscendiamo verso Chivay, sempre con qualche breve sosta qua e la, per il pranzo.
La strada per tornare ad Arequipa é la stessa dell' andata, quindi ripassiamo per il passo di Patapampa e la riserva dove i lama, gli alpaca e le vigogne pascola tranquillamente.
Ad Arequipa salutiamo i nostri compagni d' avventura e facciamo un giro in piazza, mangiamo un hamburger poi andiamo al terrapuerto a prendete l' autobus che parte alle 8, arrivando 14 ore dopo a Lima.

giovedì 19 aprile 2007

Colca 12/4



Il Colca, con le sue acque e i frequenti terremoti, col trascorrere dei millenni, ha dato vita a una fertile valle e a uno dei canion piú profondi del pianeta. La valle inizia nelle vicinanze del villaggio di Chivay, il principale centro abitato della zona, e segue per oltre 60 chilometri il tragitto del fiume fino alla zona chiamata "la cruz del condor",nelle vicinanze del villaggio di Cabanaconte. Da lí la valle si restringe notevolmente dando origine al famoso cañon del Colca, uno dei piú profondi (3400 metri) e spettacolari del mondo.
Tutto nasce dalle nevi andine dell' imponente cordillera de chila, dove le cime si alzano a piú di 5000 metri dal margine destro del rio Colca e scendono per oltre 40 chilometri fino alla confluenza del rio Andamayo, marcando la fine del canion e l'inizio della valle del Majes. Una atrattiva del Colca, oltre ai superbi paesaggi, sono i suoi villaggi, que riescono a mantenere le loro ancestrali culture e tradizioni da piú di 400 anni. Tutti i villaggi furono costruiti dai conquistadores spagnoli per controllare gli indios, convertirli più facilmente al cattolicesimo, costringerli a pagare le imposte e sfruttare la manodopera per le miniere.

Il Colca é anche sinonimo di una specie animale emblematica delle Ande: il maestuoso condor andino, essendo questo il miglior luogo per osservarlo in libertá.
Il nome Colca deriva da un vocabolo quechua che significa magazzino, infatti sulle pareti della valle si vedono spesso dei piccoli ripostigli dove si conservava una parte di raccolto per eventuali bisogni futuri, come carestie o guerre.

Peró prima di arrivare al Colca, si atraversa per circa un' ora da Arequipa una vasta pampa desertica, interrotta solo da una grande e brutta fabbrica di cemento, all' altezza di yura, a piú di 4100 metri sul livello del mare, per poi arrivare alla riserva nazionale di "Salinas y Aguadas Blancas"

nata per conservare importanti assaciazioni di flora e fauna. Questa riserva é casa di una delle piú significative popolazioni di vigogne e guanaco e tra le specie piú rapresentative distaccano la viscacha (una specie di coniglio con la coda di scoiattolo) la volpe, il condor e il flamengo andino.
É ubicata tra i 2880 e 6075 mslm e include i vulcani Misti (5225), Chachani (6075) e Pichu-pichu (5664).
Dopo varie fermate per fare foto a vigogne, lama, vulcani e in una specie di area di servizio dove ci rilassiamo bevendo un té di coca e guardando le bancharelle di artigianato, arriviamo al mirador del passo di Patapampa, a 4800 mslm, con la neve che copre le piccole torri di pietra fatte da molti passanti
e turisti in segno di buon auspicio, chiamate apachetas e dedicate alle divinità delle montagne, da dove si possono ammirare anche se ci sono un pó di nubi, il nevado Ampato, il vulcano Sabancay, l' Hualca-hualca, il Misti e il Chachani.
Da qui cominciamo a scendere, e a 3600 mslm arriviamo al villaggio di Chivay dove pranziamo, ci sistemiamo in un hospedaje, faciamo un giretto per il mercato locale, poi dalla plaza de armas, con il solito furgoncino grigio, ci dirigiamo alle terme di "la calera", dove oltre che le terme c'é un piccolo museo etnico, e un ponte volante per attraversare il rio Colca.
Dopo 2 ore torniamo in paese, ci prepariamo per andare , con tutto il gruppo, a cenare ed assiatere ad uno show folcloristico, con musica e danze tipiche.

Dintorni di Arequipa

La notte telefoniamo al taxista e ci mettiamo daccordo per il giorno seguente. Cosí la mattina alle 8-30, mentre terminiamo la colazione, viene a prenderci. Visitiamo i vari distretti di Arequipa, il primo é Yanahuara, dove c'é un monumento ai tori da combattimento. Non sono tori da corrida, ma tori che si affrontano corna contro corna. Nello stesso distretto c'é anche il mirador, un balcone porticato da dove si vede tutta la cittá e il vulcano Misti, che con i suoi 5825 metri é l'immagine tutelare di Arequipa. Tappa successiva il distretto di Sacacha, da dove si ammira una bellissima valle e i vulcani.
Ci sono anche dei lama, che si lasciano accarezzare senza sputarci, un mini allevamento di cuy (porcellini d'india) e coltivazioni di varie piante medicinali. C'é anche un barettino dove proviamo il frullato della papaya arequipeña (piú piccola e arga) e del tumbo. Da lí andiamo al distretto di Cayma, dove c'é una bella chiesetta coloniale nella piazza, C'é anche un altro mirador, peró si accede pagando un sol, ed é una costruzzione alta con un cristo in marmo e tanti gradini. Dall' alto del mirador si vedono anche altri distretti e l'immancabile Misti. Andiamo sempre piú in campagna, nel distretto di Characato, visitiamo una fattoria dove c'é un toro di oltre 1400 chili, di una razza che solo esiste ad Arequipa (cosí ci dice il padrone), ha combattuto tre volte, peró preferisce usarlo per inseminazioni e come attrattiva turistica.
A 8 chilometri al sud di Arequipa c'é Sabandia, con il suo mulino, dove facciamo una passeggiata a cavallo per la campagna circostante.
Quindi, rientro in cittá, a pranzare in un ristorante tipico, poi un salto in hotel, una doccia calda, e di nuovo in strada, a visitare la chiesa della compañia, disegnata nel 1573 e distrutta da un terremoto nel 1584, la struttura attuale risale al 1650. Una scapatella anche dentro la cattedrale, di stile neoclassico, con la curiositá che la facciata é un lato della chiesa e non il davanti, fu gravemente intaccata dal terremoto del 2001.
Prenotiamo il tour di due giorni e una notte per il cañion del colca in un agenzia poco lontano, una passeggiata e un hamburger nella piazza de armas e poi a nanna.

domenica 15 aprile 2007

Arequipa


Dal terminal della strada Javier Prado, alle 8-30 di notte, partiamo con l'autobus della "Tepsa", per arrivare 14 ore dopo, al terrapuerto di Arequipa, l'autobus è moderno, comodo, con Film nuovissimi in dvd, coperta per la notte, hostes, bagno "solo per urinare", riscaldamento o aria condizionata a seconda di dove si trova. Eh... si,
a Lima fa caldo, è sulla costa, praticamente in mezzo al deserto, Arequipa è sulle Ande, circondata da vulcani, a 2335 metri sul livello del mare, e anche se al sole fa caldo, la notte, o con un pò di venticello, fa freddo.
Ci abborda subito un tassista, che ci accompagna in un hotel che ci consiglia lui, e che non è affatto male e ci propone di fare un tour nelle campagne di Arequipa con lui a 45 soles, mentre tramite agenzia costa 40 sole a persona... ci lascia il numero telefonico e ci pensiamo sù. Dopo che ci sistemiamo in hotel, ci riposiamo e laviamo, facciamo un giro per la plazas de armas, circondata da portici e la cattedrale. C'è una fontana nel centro, con tre piatti di bronzo e un soldato in cima, questo personaggio si chiama "Tuturutu" che secondo la leggenda era incaricato di avvisare su qualsiasi novità.

Da lì andiamo a informarci sui tour alla valle del colca e poi a visitare il famoso manastero di Santa Catalina. Nel 1579, a meno di quarant' anni dalla fondazione della città da parte degli spagnoli,viene fondato il monastero.dal suo inizio, donne di diversi strati sociali entrarono qui come monache di clausura per non uscirne più... neanche da morte. È costruito con "Sillar", pietra bianca di origine lavica, ed 'e il più importante esponente di architettura coloniale arequipegna. È una vera e propia cittadina dentro la città, con strade, piazze, case, lavanderia, chiesa, pinacoteca, etc. È stato aperto al pubblico nel 1970 ma al suo interno, lontano dagli occhi dei turisti e del mondo, restano ancora poche suore di clausura.
Dopo questa scorpacciata di cultura un pò noiesetta e una visitina ai negozzi di artigianato, prendiamo un taxi e andiamo al cinema a vedere un bel film horror...Prueba de fè, prova di fede. (In Italia è uscito con il titolo "I segni del male")

domenica 8 aprile 2007

Huacho

A circa due ore e mezzo di autobus al nord di Lima, sulla Panamericana, costeggiando il mare e passando in mezzo al deserto, c'è la cittadina di huacho, dove vive e studia il fratello di Gianina, così ne approffittiamo per andare a visitare il posto, e salutare qualche parente. La cittadina è sul mare, però mi ricorda più un villaggio in mezzo al deserto, tutto è di un colore grigiastro che va fino al marrone, le strade sono di terra battuta e impolveratissime, non si vede un filo d'erba, la maggior parte delle case è di mattoni ma senza intonaco o vernice, i mattoni sono grigi per la polvere, tutte le case sembra che aspettino di essere terminate, a molte manca persino il tetto, sostituito con stuoie di paglia o cartoni, qui non piove quasi mai.


Andiamo alla spiaggia di hornillo, pochi minuti in taxi, la spiaggia è bella, c'è abbastanza gente per via delle vacanze della settimana santa, il mare è agitato, come sempre da queste parti, dopotutto è l'oceano Pacifico. Ci portano un tavolo con ombrellone e sedie nel bel mezzo della spiaggia e ordiniamo riso ai frutti di mare e cevice, specialità peruviana, diverse specie di pesci e frutti di mare a pezzetti crudi, "cotti" con il limone. Si mangia e si chiacchiera, faccio una passeggiata per la spiaggia e saliamo sulla collinetta che c'è alla sua destra dove c'è un piccolo santuario con tre croci, poi andiamo a casa della zia di Gianina, salutiamo i parenti e il cane, poi altre due ore e mezzo di autobus e siamo a Lima

venerdì 6 aprile 2007

Back to Lima


Sto scrivendo queste righe da un qualsiasi computer in un qualsiasi internet-point nel distretto di Miraflores, a Lima. Ieri notte alle 2-30 Coco, il cugino di Gianina, è venuto a prenderci col suo motocarro per accompagnarci in aeroporto. Alle 4 e 20 l'aereo della LAN lascia puntuale il suolo d'Iquitos e alle 6 atterriamo a Lima. Facciamo colazione e poi con un taxi andiamo a Miraflores, all' hotel Rodas1, il solito, dopo un pò Gianina prende un autobus per andare a casa sua. Dormo qualche ora, una doccia tiepida, due chiacchiere con Ivan, il ragazzo dell' hotel, poi Gianina ritorna con il mio pranzo e verso le 6 andiamo a "Plaza Vea", un centro commerciale, a fare qualche compera. Alle 8 lei ritorna a casa e io vengo qua a controllare la mia posta elettronica.
Lima è stata fondata dal figlio di una prostituta, analfabeta, guardiano di porci e soldato nelle campagne d' Italia, mozzo nelle navi di Cortez e Balboa, assassino di Atahualpa e sterminatore del popolo inca, e nonostante questo la città ha una sua statua nel parco della muraglia, nel centro della città. È stata fondata il giorno dell' Epifania col nome di "Città dei re", in onore ai re magi, nel 1535. È una grande metropoli situata al centro della linea costiera desertica del Perù, Lima richiama gli abitanti delle montagne e dei villaggi dell'Amazzonia in cerca di fortuna.È una città dal clima caldo e umido in tutte le stagioni, con precipitazioni molto scarse.

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