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domenica 22 novembre 2020

Il paese fantasma di Craco

Sul numero 61 di Giroinfoto magazine di novembre un altro mio articolo fotografico sul paese fantasma di Craco, visitato quest'estate.














La stretta strada comunale è tutta in salita, solitaria, dissestata quanto basta, piena di crepe e buche, comunque asfaltata, circondata da vegetazione incolta dai colori di fine estate, brulle collinette di argilla e, in lontananza, dei grigi calanchi, curve, contro curve e tornanti, pochi resti di qualche rudere, le alte mura di un cimitero, dei vecchi ulivi che qualcuno cura. All'improvviso, eccolo, come la punta di una lancia, sulla cima del colle che sembra il più alto, dritto, davanti alla strada, freno e mi fermo, lo ammiro emozionato nonostante sia un immagine che ho visto e rivisto decine di volte in questi giorni mentre programmavo questa visita. Mancano ancora alcuni chilometri ma lo spettacolo è quello, i buchi neri che hanno fatto posto alle vecchie porte e finestre sembrano tanti occhi che guardano incuriositi con aria ostile. Mi riprendo, riparto e dopo qualche metro accosto in uno spiazzo dove posso lasciare la macchina e scendere per fare qualche foto, l'angolazione è quella, su internet si possono trovare decine di foto scattate da li, nonostante non sia un classico luogo turistico, ha un forte magnetismo che attira tanta gente. Craco, il paese fantasma. Proseguo. Sulla sinistra della strada c'è il vecchio convento di San Pietro dei frati minori, una struttura costruita a partire dal 1620, la porta di accesso al paese che dopo anni di abbandono, ristrutturato e messo in sicurezza, ora ospita il “Museo Emozionale di Craco” che con alcuni filmati, didascalie e foto d'epoca, ripercorre la storia di questi luoghi. Da qualche anno il paese è diventato un Parco Museale Scenografico, una specie di museo all'aperto, e si visita il centro storico con un biglietto e accompagnati lungo un percorso messo in sicurezza, purtroppo la notte tra il 21 e 22 agosto hanno incendiato un tunnel del percorso di visita e non essendoci le condizioni di tutela della pubblica incolumità tutte le visite al Centro Storico sono sospese fino a data da destinarsi, lo sapevo, letto sul sito del Parco Museale Scenografico, ma ormai nella mia testa c'era già la visita e non sono riuscito a rinunciarvi nonostante una delle mie passioni è fotografare edifici abbandonati e ruderi ma mi consolo pensando che le foto più interessanti sono fatte al paese visto nel complesso ed in lontananza. Ciò che ha reso Craco un paese fantasma, un attrattiva insolitamente turistica ed un set cinematografico per diversi film, è stato una serie di eventi calamitosi solo in parte dovuti all'incuria e al comportamento umano, una disastrosa frana nel 1963 ha costretto la maggior parte della popolazione ad abbandonare le proprie case, poi nel 1972 un alluvione peggiorò la situazione con altri smottamenti e dopo il terremoto del 1980 tutto il paese venne completamente evacuato. Gli abitanti negli anni sessanta erano circa duemila e si trasferirono prima in una baraccopoli ai piedi del colle e poi nel nuovo paese di Craco Peschiera costruito più a valle. La struttura del borgo antico sembra che risalga al periodo compreso tra il 1154 e il 1168 ma le prime testimonianze relative al nome “Graculum” sono del 1060 forse un insediamento di monaci italo-bizzantini che iniziarono a sviluppare l'agricoltura nella zona il secolo precedente. Durante il medioevo il borgo era un importante centro strategico militare e sede universitaria. Il piccolo paese Lucano non fu nemmeno estraneo al fenomeno del brigantaggio nel corso del decennio napoleonico e delle rivolte post-unitarie. Dalle terrazze panoramiche del convento, toccando le antiche pietre, aspettando come se mi dovessero raccontare una storia, scatto alcune foto, ancora emozionato dalla vista dei ruderi rimasti arroccati sotto la torre normanna che sovrasta tutto. Mi incammino seguendo la strada asfaltata che costeggia la rete messa intorno al paese per evitare di entrare e dopo pochi passi mi si presenta un asino che si avvicina, un bellissimo soggetto da fotografare con lo sfondo della gost town, mi guarda, si gira verso le vuote finestre come se qualcuno lo avesse chiamato, mi riguarda, si mette a brucare. Proseguo e arrivo al cancello, è chiuso e c'è un ragazzo con pettorina e cartellino che sembra fare da guardia, provo a chiedergli se posso entrare, la risposta, anche se con un sorriso, è categorica: non si può. Continuo e seguo la strada a destra che va dietro il paese in salita, fino ad arrivare sotto la torre ed arrivo alla fine, tutto recintato, non si può andare avanti, seguo la rete per un po' in mezzo alle erbacce per ammirare un po' più da vicino alcune grotte, non so se scavate dall'uomo o dall'acqua e il tempo. Torno indietro e costeggio di nuovo il paese dal basso, prendo la strada che va in discesa poi un sentiero che sale fino al paese, in mezzo a dei campi e una ripida salita franosa che salgo con l'aiuto delle mani ed arrivo all'inizio delle rovine, qui non ci sono reti ma si capisce che non ci si può inoltrare, per terra tante macerie e detriti, i ruderi sono a pochi passi, ci penso un po' su ma decido di tornare indietro e appena mi giro sento un forte belato, mi rigiro e noto che poco lontano ci sono delle capre arrampicate sul terreno franato sotto la torre che mi guardano, rimango a guardarle per qualche secondo e cerco di capire se mi stanno invitando o mandando via, un altro belato e un incornata al cielo mi bastano per capire che non sono il ben venuto. Una volta arrivato sulla strada asfaltata mi metto nuovamente ad ammirare il paese incastonato nel bellissimo paesaggio che lo circonda e mi fermo a fissare quei buchi scuri che una volta avevano le imposte, aspettando una bambina vestita di bianco che si affaccia e mi saluta con la mano, come in un film horror, ma non succede, risalgo in macchina e me ne vado, fermandomi poco più avanti per un ultimo sguardo, e un saluto, dallo specchietto retrovisore. Visitato Craco il 3 settembre 2020 Scritto il 11 Ottobre 2020

venerdì 9 ottobre 2020

Ex base Nato di Monte Giogo

Escursione in giornata alle parabole dell'ex base NATO, abbandonata, "Livorno" di Monte Giogo, nel Parco Nazionale dell'Appenino Tosco Emiliano, a poco più di due ore di macchina da casa. 1520 metri sul livello del mare.

Questa base era una stazione strategica per le radiocomunicazioni nell'ambito NATO che si collegava con i vari centri di comando e decisionali posti sui confini est dell'Alleanza Atlantica. Fu progettata nel 1956 ed entrò in funzione nel 1960 ed è rimasta attiva fino alla fine degli anni novanta. Molto suggestive le enormi quattro parabole che sorgono sulla cima del monte.









 

mercoledì 2 settembre 2020

Immersione sul bombardiere Junker 88

 Posso senz'altro affermare che sia stata la curiosità di vedere questo aereo sommerso della seconda guerra mondiale che mi ha fatto arrivare in Salento in un viaggio improvvisato, merito di alcune foto su internet che mi sono capitate davanti e di un articolo di qualche anno fa sulla rivista Sub Underwater Magazine che me lo ha fatto inserire nell'elenco virtuale delle immersioni da fare prima o poi. L'idea era di stare in campeggio a Rivabella, qualche chilometro a nord di Gallipoli, tre o quattro giorni ma ho trovato un vento da sud che per qualche giorno non ha permesso di fare l'immersione comunque non voglio andar via senza averlo visto. Prima immersione sul Junker 88 il mercoledì, con un diving di Santa Caterina di Nardò, ovvero il mio sesto giorno in Puglia.

Con questo diving ho già fatto un immersione due giorni prima sul relitto del Neuralia, un relitto che ha fatto la prima e la seconda guerra mondiale di cui rimangono solo tanti rottami e lamiere sparse nel mare davanti a Porto Cesareo, quindi arrivo con un po' di anticipo e so già come muovermi. In pochi minuti di navigazione, col gommone, arriviamo sul punto gps, il relitto non è pedagnato quindi lanciano un pedagno “volante” solo che c'è un po' di corrente e al primo tentativo ci spostiamo troppo e quindi ci si riprova, la seconda volta va meglio. Quando siamo tutti pronti e in acqua, appena la guida ci da il via, io scendo veloce per provare a fare qualche foto senza troppa gente in mezzo, giù ci sono già un fotografo e la sua modella che avevano chiesto di poter immergersi prima di noi proprio per non avere gente in mezzo alle foto.


Comunque la corrente stava spostando il pedagno, il peso sulla sabbia non era abbastanza pesante da contrastarla e si è messo ad “arare” e quando arrivo sul fondo, a 35 metri, non vedo il relitto, non voglio aspettare tutto il gruppo e quindi nuoto contro corrente fino a che non si intravede, arrivo da dietro e vedo i due che fanno foto, mi alzo di qualche metro, volando sopra l'aereo e il colpo d'occhio è veramente emozionante, faccio in tempo a scattare solo qualche foto e poi arriva tutto il gruppo e siamo veramente tanti per questo sito, che è relativamente piccolo, l'apertura alare è di circa venti metri e la fusoliera sarà al massimo una quindicina di metri, sulla sabbia, intorno non c'è altro se non, diversi metri dietro l'ala destra, i resti della coda che si è staccata dalla carlinga, con disegnata una svastica, per alcuni ancora riconoscibile, ma non per me, che faccio veramente fatica ad identificarla tra le alghe che coprono questo pezzo di lamiera, e il ruotino del carrello. La copertura trasparente che chiudeva l'abitacolo non c'è e si vede bene il seggiolino del pilota e quel che resta delle apparecchiature di comando, il tutto ricoperto da incrostazioni e spugne, i due motori sono per metà insabbiati, non ci sono le eliche e anche qui le spugne la fanno da padrone, le ali sono impressionanti e davanti a quella sinistra c'è ancora il fanalino colorato dove la guida mette all'interno la torcia per farci capire che cos'è.


L'articolo su Sub Underwater Magazine di marzo 2017 dice che è stato “scoperto” nel 2009 dal diving con cui faccio l'immersione, gli anziani del posto raccontavano di un aereo caduto in quelle acque ma molti pensavano fosse ormai una leggenda visto che non ci sono documenti che affermino la perdita dell'aereo, ho visto anche un video su youtube dove il proprietario di un altro diving dice di averlo trovato negli anni novanta ma non avendo il gps, in seguito, non è più riuscito a trovarlo. Non si sa né quando è affondato, né il perché, come ho già detto non ci sono documenti o notizie a riguardo ma solo le testimonianze sbiadite dei vecchi abitanti della zona. Si pensa che forse sia ammarato, il fatto che la coda sia staccata e che sia in assetto di volo sembra confermare l'ipotesi, e non essendoci tracce di buchi da proiettili visibili fa pensare ad un guasto tecnico. Non sono stati trovati resti umani tanto meno nessuna targhetta di riconoscimento, né bombe o armi, o ne era sprovvisto e quindi non impegnato in un azione di guerra, o sono state rubate da qualcuno che lo ha trovato in passato e tenuto nascosta la notizia.

L'aereo è un Junker 88, o come lo chiama Wikipedia, Junkers Ju 88, era un bombardiere bimotore ad ala bassa prodotto in Germania dalla metà degli anni trenta ed è stato il velivolo più versatile della Luftwaffe, l'aeronautica nazista. Fu prodotto ininterrottamente dal 1936 al 1945 in dozzine di versioni per un totale di circa 16000 aerei. Veniva usato soprattutto come bombardiere, aereo da ricognizione, caccia notturno, aerosilurante, aereo da attacco al suolo e poteva raggiungere gli oltre 600 km/h. A detta di molti, forse, l'aereo più performante della seconda guerra mondiale.


Un immersione tuttavia facile, ma il fatto che un relitto aereo della seconda guerra mondiale sia così ben conservato e quasi integro, con un gran bel colpo d'occhio e l'aura di mistero che lo avvolge, la rendono molto avvincente ed entusiasmante. 

venerdì 28 agosto 2020

Il Peschereccio di Gallipoli

Era da tanto tempo che non dormivo in macchina, e devo dire che non è stato poi così terrificante. Mercoledì sera mi hanno confermato che da giovedì sarei stato nuovamente in cassa integrazione. Subito la notizia mi ha buttato un po' giù, anche perché il meteo previsto nei posti vicino a casa per fare immersioni era molto brutto. Pensa e ripensa mi viene un idea malata. Preparo il borsone da sub, la tenda e metto un po' di magliette e mutande in uno zaino, carico le batterie delle fotocamere e alle 17 in punto parto direzione Gallipoli, le previsioni meteo dicono che al sud continua l'estate. Mi fermo a Modena a fare il pieno e al Decathlon a comprare un tavolino (l'ultima volta ne ho sentito la mancanza). C'è traffico in autostrada, soprattutto da Bologna a Imola. Alle 20 esco a Senigallia per cenare, niente di che, un panino all'America Graffiti e una passeggiata lungo la spiaggia fino alla rotonda sul mare e poi rientro alla macchina dal lungomare. Riprendo la strada alle 21 e dopo 2 ore e mezzo mi fermo in un autogrill, abbasso i sedili di dietro e mi metto a dormire. Alle 6 riparto e faccio diverse soste per caffè, colazione, un po' di gasolio. Alle 10:30 arrivo a Rivabella, dove c'è un camping, e chiedo se c'è posto per me, una bella piazzola a meno di venti metri dal mare. Monto tutto, gonfio il materassino, mando qualche messaggio per far sapere dove sono finito a qualche amico e a mamma & papà poi provo a fare qualche telefonata ai diving della zona, nessuno ha posto per me per domani, forse domenica pomeriggio, piccola delusione. Non mi arrendo e continuo a cercare diving su internet e mi accorgo che uno mi è sfuggito. Neanche loro hanno posto per domani, però se voglio c'è posto il pomeriggio alle 15... non so che ora è e chiedo a lui, le 14:30, gli dico dove sono e mi risponde che il diving è a 4/5 chilometri e che se voglio, comunque, mi può aspettare un po'. Sono stanco e già sdraiato sull'asciugamano di fianco alla tenda sotto la pineta ma non ci penso due volte e butto tutto dentro la tenda e corro alla macchina. Arrivo puntuale al diving, monto gav e erogatori, mi preparano la zavorra e seguo il furgone fino al molo, saliamo sul gommone e in circa 5 minuti siamo sopra il relitto di un peschereccio. Alle 16 inizia la discesa nel blu. Il relitto è su un fondale di 25 metri, immersione semplice ma molto bella, il vecchio barcone in legno è pieno di vita ed è molto scenografico. La rete a strascico, la luce e la strana visibilità gli danno un aria molto misteriosa e cupa. Dopo 45 minuti sono in superficie, ho preso 3 minuti di deco ma va bene lo stesso, tutto è successo molto in fretta ma alla fine sono molto soddisfatto.

Nel briefing pre immersione non mi hanno dato tante notizie riguardo il relitto ma su internet sono riuscito a trovare qualche informazione. Fu varato in Italia nel 1969 col nome “Andreina” ma negli anni settanta fu rinominato “Frangì”. Il peschereccio è affondato nel dicembre 2008 mentre rientrava in porto dopo la solita battuta di pesca giornaliera, a causa dello speronamento da parte di uno yacht “impazzito” che c'è finito letteralmente sopra, delle tre persone dell'equipaggio una rimase gravemente ferita. Il forte vento e il mare mosso hanno impedito il recupero immediato del motopeschereccio che si è inabissato dopo oltre un ora durante le operazioni di rimorchio delle due imbarcazioni incagliate tra loro, mentre lo yacht fu portato a Porto Gaio, a nord di Gallipoli, e posto sotto sequestro. Dal serbatoio dell'imbarcazione fuoriuscirono circa 200 litri di gasolio che le panne galleggianti, disposte dai mezzi antinquinamento riuscirono a contenere consentendone l'aspirazione, nei giorni successivi si riusci a recuperare tutto il carburante e per fortuna non ci furono conseguenze inquinanti e si decise di non recuperare il relitto. Per chi era alla guida dello yacht si ipotizzò il reato di naufragio colposo, ma non ho trovato notizie di come sia finita la vicenda.

sabato 8 agosto 2020

Necropoli Etrusca di Monterozzi a Tarquinia

Dal campeggio dell'Argentario un giorno sono andato a Tarquinia, un oretta di distanza, per visitare la Necropoli Etrusca di Monterozzi dove si possono ammirare tombe dipinte che rappresentano il più grande nucleo pittorico di arte etrusca arrivato fino ai giorni nostri e considerata "la prima pagina della pittura italiana". La scoperta delle prime tombe dipinte risale al Rinascimento e ad oggi si conoscono circa 200 sepolcri affrescati, ma di molti di essi si è persa l'esatta ubicazione, mentre altri furono reinterrati dopo la scoperta ritenendo all'epoca di preservarne al meglio in tal modo la decorazione dipinta. Credo che al momento siano accessibili circa 60 tombe. La maggior parte dei sepolcri è di età arcaica e classica, consiste in un unico ambiente quadrangolare con soffitto a doppio spiovente ed è destinato alla sepoltura della sola coppia maritale, in epoca ellenistica la camera sepolcrale ospita invece tutto il clan e gli ambienti assumono quindi dimensioni anche grandiose con pilastri a sostegno del soffitto piano. Le camere sono scavate nel banco di roccia e accessibili tramite corridoi in discesa coperti da strutture moderne per evitare alla pioggia e all'umidità di entrare e rovinare i dipinti. Il settore di necropoli aperto al pubblico è situato nella parte occidentale del colle di Monterozzi, non distante dalla città medioevale e moderna, nell'area del Calvario, nota fin dall'ottocento per la presenza di un importante gruppo di tombe affrescate, negli anni '60 del novecento si individuarono nel sottosuolo più di un migliaio di tombe a camera, una cinquantina delle quali con tracce di decorazione dipinta.











 

giovedì 6 agosto 2020

Relitto dell'Anna Bianca a Giannutri



Durante le ferie forzate di agosto ne ho approfittato per visitare l'Argentario, campeggiando per poco più di una settimana a Feniglia e fare anche qualche immersione nel mare azzurro del promontorio e all'isola di Giannutri. Dopo aver preso parte, qualche giorno prima, ad un full day con due immersioni presso la costa sud dell'Argentario, oggi in previsione c'è un full day all'isola di Giannutri, partendo da Porto Ercole con una grande barca, comoda, dove a prua c'è la sala comando e la cucina e a noi clienti, che siamo in tanti, non è permesso entrare. L'isola è un area naturale protetta e fa parte del Parco Nazionale dell'Arcipelago Toscano con una riserva marina su gran parte delle sue coste. Il mare è un po' mosso con vento da nord ma la piccola isola a forma di C possiede diversi luoghi ridossati per quasi tutti i venti. Una volta arrivati a Cala Ischiaiola e ormeggiati alla boa del parco mi aspetta una piacevole sorpresa: quando chiedo quale sarà il mio gruppo e la mia guida, mi chiedono se mi va di fare l'Anna Bianca ed io accetto senza condizioni, felicissimo e un po' incredulo visto che non mi aspettavo di fare il relitto, non avevo chiesto e loro non lo avevano neanche accennato. La boa che segnala il relitto è circa cento metri distante dalla boa dove siamo ormeggiati, dove la maggior parte dei subacquei faranno l'immersione, quindi io, con la guida e altri tre sub dobbiamo raggiungerla a nuoto, in superficie, di spalle, come si usa, ovvero con la faccia rivolta verso il cielo e girandosi a guardare la boa ogni tanto per non sbagliare rotta. Quando arriviamo ci fermiamo qualche minuto per riprendere fiato e appena tutti siamo pronti si scaricano gav e mute stagne e si va giù, nel blu, senza perdere di vista la cima che dalla boa arriva alla poppa della nave. Il relitto è diviso in due tronconi principali con tante lamiere e altri piccoli pezzi sparsi intorno, adagiato sulla sabbia a una profondità che va dai 35 ai 52 metri, noi visiteremo lo spezzone di poppa che raggiunge al massimo i 42 metri. La visibilità è fantastica, la sagoma della prua si comincia ad intravedere già dai primi metri d'immersione. L'Anna Bianca, forse varato col nome di “Vivien”, era un piccolo mercantile lungo quasi cinquanta metri e largo nove, costruito nel 1921 in Inghilterra e di proprietà di un armatore napoletano. È affondato la notte tra il 2 e il 3 aprile del 1971 con un carico di pietra pomice, il motivo dell'affondamento mi è incerto, su alcuni siti internet ho letto che fu sorpresa da una tempesta e cercando ridosso a cala Ischiaiola urtò alcuni scogli che aprirono delle falle che la portarono a picco, altre voci, tra cui la guida che mi ci ha portato, dicono che sia stata affondata dall'equipaggio per riscuotere i soldi dell'assicurazione, altri siti raccontano anche di un esplosione a bordo e che si sarebbe divisa in due per questo. Si racconta anche che il carico di pomice, una volta rilasciato in mare, si accumulò sulle spiagge dell'argentario, soprattutto a Feniglia, dove in effetti è facile tuttora trovare del pomice arenato sulle dune, e alcuni abitanti del posto, vedendo tutta questa polvere bianca che galleggiava, la scambiarono per droga e cercarono di recuperarne il più possibile, rimanendo un po' delusi una volta scoperta la vera natura del pescato. L'immersione è veramente bella e facile, complice la notevole visibilità e il ridotto spazio da visitare, poi essendo così pochi anche fare delle foto in tutta tranquillità è un vero piacere. Molto bello l'impatto della pala del timone e il reggi albero dell'elica (assente) con tutta la rotondità della poppa, ci si può affacciare nello squarcio che divide la poppa dove all'interno si notano tante attrezzature della sala macchine ma i tantissimi cavi e cime che penzolano fanno passare a quasi tutti la voglia di penetrarvi, anche le sovrastrutture sono ben distinguibili e il relitto è tana per i soliti scorfani, gronghi, murene e gamberetti, poi non mancano le solite castagnole, grandi spirografi e qualche stella marina. Dopo 15 minuti e a pochi secondi dal prendere della deco, saliamo a quindici metri nel blu e la guida con la bussola ci porta al sito dove ci sono gli altri gruppi di subacquei, praticamente sotto la barca, che chiamano “le cerniette” dove rimaniamo un altra ventina di minuti ad ammirare la vita lungo questi scogli a circa 12 metri e finiamo la bellissima immersione. Per la seconda immersione ci spostiamo praticamente dall'altra parte dell'isola, a Punta San Francesco, dove le pareti degradano dolcemente e sono molto frastagliate, a pochi metri dalla riserva integrale dove non si può fare nessuna attività, quindi nemmeno immergersi. Il mare si muove un pochino di più. Bella anche quest'immersione, anche qui con tantissima visibilità e tanta vita sottomarina, tra cui il piacevole incontro con una grande lepre di mare che sembra che voli agitando le sue ali.

sabato 25 luglio 2020

Il Mohawk Deer

Sono partito da casa molto presto, come quasi sempre quando vado a fare immersioni in giornata, con direzione Lavagna per andare a vedere il famoso relitto del Mohawk Deer, unico relitto, che si può visitare in modalità ricreativa, dell'Area Marina protetta di Portofino. Il diving si trova dentro il porto e per fortuna riesco a trovare un parcheggio gratuito poco distante dall'ingresso. Nel 2018 ho fatto due immersioni ai relitti di Sestri Levante, partendo sempre da Lavagna ma con un altro diving che si trova sempre dentro il porto, poco lontano. Il viaggio da Lavagna al AMP di Portofino è su una veloce barca abbastanza comoda ma che non permette di muoversi tranquillamente anche perché il mare è mosso. In passato ho fatto immersioni nel AMP di Portofino, ma sempre partendo da Genova, quindi dal lato di ponente, ora arrivo da levante e il panorama mi è nuovo e passiamo sotto il faro di Portofino, molto suggestivo.
Purtroppo al nostro arrivo sulla boa ci sono ormeggiate già due imbarcazioni e il regolamento del AMP non permette più di due barche con relativi subacquei per spot, quindi il capitano e le guide subacquee decidono di cambiare location. Non mi godo a pieno l'immersione, anche se il sito è davvero bello con tante cernie, corvine, grossi dentici, barracuda e in profondità splendide gorgonie rosse ma l'acqua è un po' torbida e con dei tagli di termoclino che danno la sensazione di vista appannata, ma soprattutto sono deluso perché sono venuto per il relitto. Oltre a ciò, sott'acqua confondo la mia guida con un altro e perdo il mio gruppo, quando me ne accorgo ormai è tardi e continuo l'immersione facendo finta di niente tanto anche questi due subacquei sono con lo stesso diving ma al rientro in barca mi fanno una bella ramanzina. Ultimamente con la fotocamera mi distraggo spesso e non è la prima volta che mi perdo. Una volta rientrati al diving faccio subito presente al proprietario, con cui avevo parlato per telefono e prenotato l'immersione al Mowahk Deer, che non abbiamo fatto il relitto e che io ero li per quello e mi sarebbe dispiaciuto non farlo, quindi parla con il suo staff e organizzano la visita con la seconda immersione e mi affianca un altra guida tutta per me.
Il piroscafo venne costruito negli Stati Uniti e varato nel 1896 col nome di LC Waldo SS, era lungo 118 metri e largo 14, aveva tre alberi e due caldaie a carbone. Navigò gran parte della sua esistenza nei Grandi Laghi tra Canada e Stati Uniti. Cambio proprietario diverse volte e cambio nome in Riverton SS nel 1916 e in SS Mohawk Deer nel 1944 ed ebbe una vita molto travagliata e piena d'incidenti, collisioni ed incagliamenti. Dopo settantuno anni di carriera, con due affondamenti, nel 1913 e nel 1943, e due recuperi, finì per affondare definitivamente il 5 novembre 1967 mentre veniva trainato verso La Spezia, venduto come ferro vecchio, a causa del mare mosso e forte vento, nei pressi del promontorio di Portofino vicino alla costa e si spezzo in due tronconi praticamente attaccati, la prua vicino a riva rivolta verso il cielo con ancora un àncora attaccata alla catena che esce dall'occhio di cubia, il resto della nave in assetto di navigazione che scende fino a oltre i 50 metri con le due grosse caldaie sbalzate fuori. Intorno allo scafo e nei dintorni ci sono tantissimi rottami e lamiere sparsi. Il tempo e le forti mareggiate lo stanno pian piano smantellando.
La vista della prua che guarda verso l'alto è molto suggestiva, interessanti anche gli argani salpa àncore nel troncone di prua, altri verricelli sullo scafo, forse degli alberi di carico finiti ormai chissà dove, la grossa ancora sul lato sinistro, le catene che escono dagli occhi di cubia, due brevi penetrazioni a circa metà percorso, tante lamiere collassate e rottami sparsi anche fuori dal relitto, a bassa profondità, che mi gusto particolarmente mentre aspetto che passino i minuti di deco che ho accumulato nonostante non sia riuscito a raggiungere la parte più profonda verso la poppa. La profondità massima che ho raggiunto sono 34 metri e 39 minuti d'immersione.

sabato 13 giugno 2020

Nicole e Potho a Numana


Ormai sono due settimane che è finito il Lockdown durato quasi due mesi e mezzo, da metà marzo, la quarantena per contenere il contagio del virus Covid 19 che ha scatenato una pandemia mondiale con tantissime vittime, la voglia di andare al mare e immergermi è tanta ma il mare in Liguria è stato mosso lo scorso week end ed anche questo i diving center che ho contattato cancellano le immersioni in programma per lo stesso motivo. Provo a telefonare a Rimini per un immersione al Paguro, in Adriatico le previsioni danno mare calmo, ma per il sabato sono al completo. Mi viene in mente che da qualche anno ho intenzione di andare al relitto della Nicole al Conero, nelle Marche, visto in una puntata di Linea Blu e non ho mai avuto occasione, così provo a telefonare al Centro Sub Monte Conero di Numana e mi confermano che il sabato con la seconda immersione, alle 10:30, andranno al relitto ed hanno l'ultimo posto disponibile, in programma hanno anche un immersione alle 7:30 ma sono al completo e se arrivano ad un numero sufficiente faranno anche la terza alle 14:30, mi spiegano le nuove normative e come comportarsi, sempre per l'emergenza Covid 19, confermo la mia presenza.
Da casa ci vogliono poco più di tre ore se non c'è traffico, quindi mi sveglio alle 5:30, ho già tutto pronto dalla sera prima, carico la macchina, faccio colazione e parto alle 6:00, il viaggio è tranquillo, senza soste, arrivo alle 9:00 e parcheggio vicino al diving che si trova in spiaggia, pochi passi dal porticciolo dove hanno il gommone. Il mare è calmissimo, il cielo splendido e la temperatura ottima. Mi accoglie una luminosa ragazza che mi spiega di nuovo le precauzioni da usare per l'emergenza Covid, ovvero tenere la mascherina, lavarsi spesso le mani, tenere le distanze, posti assegnati, le consegno i moduli che ho scaricato e compilato a casa e mi assegna la mia postazione, numero 10, una sedia e un palo con un appendiabiti, un altra ragazza mi consegna una bombola da 10 litri e assemblo tutta l'attrezzatura. Gli altri sono ancora in mare e arrivano verso le 10:00, carichiamo l'attrezzatura su un ape e mi dirigo al porto a piedi, con gli altri sub. Anche in gommone abbiamo i posti assegnati e distanziati, io sono nell'ultimo posto nel lato di dritta a prua. Dopo circa dieci minuti di navigazione, due miglia dal porto turistico di Numana, ci sono le boe di ormeggio, una a poppa e una a prua del relitto Nicole, il più recente relitto che ho visitato, affondato il 27 gennaio del 2003 a causa di una tempesta, era una motonave da trasporto dalle caratteristiche fluviali, aveva il fondo piatto e le murate basse, proveniva dalla Turchia e andava a Marghera con un carico di materiale per la fabbricazione del vetro, cercava riparo verso il Monte Conero, sperando di trovare un ridosso, invece le onde superarono le murate e le stive si riempirono d'acqua, portando giù, in assetto di navigazione, la motonave, che una volta toccato il fondo si spacco in due tronconi, che le successive mareggiate hanno fatto disassare ma rimangono ancora in assetto di navigazione. Un'altra caratteristica di questo relitto è che si trova a bassa profondità, il punto più alto è a circa sette metri, il più basso, sul fondo a diciassette. La natura del fondale composto da sabbia finissima e fango e la notevole presenza di sospensione riducono molto la visibilità ma mi dicono che sono fortunato e oggi è molto meglio del solito ma per quanto mi riguarda la visibilità per me è scarsa. Le lamiere sono completamente ricoperte di cozze, molluschi, ascidie e spugne, tantissimi nudibranchi e crostacei, circondata da tanti banchi di pesci di piccola taglia. La guardia costiera e agenzia per l'ambiente intervennero subito dopo l'affondamento e il giorno dopo si recuperò il carburante dai serbatoi, si pensò di recuperare la nave con costi molto alti, ma i centri subacquei della zona insistettero per lasciare il relitto a scopo turistico prendendo come esempio il relitto della piattaforma Paguro di Ravenna e praticamente a costo zero. Un relitto di tali dimensioni e a profondità così accessibili costituisce un'oasi di ripopolamento per la fauna ittica ed effettivamente è diventato un polo di attrazione per il turismo subacqueo.
Finita l'immersione ritorniamo al porto e da li al diving, mi confermano che facciamo un altra immersione alle 14:30. Dopo essermi cambiato vado a fare un giro per il paese, con il centro molto carino che si alza sopra la spiaggia e il porto e mi mangio un panino in un bar. Alle 14:00 arrivo al diving e dopo aver assemblato l'attrezzatura ed esserci cambiati ci dirigiamo al porto e risaliamo in gommone che si dirige verso la spiaggia delle “due sorelle” che fa parte del Parco del Conero , chiamata in questo modo per i due scogli bianchi che emergono dal mare limpidissimo e che visti da nord dovrebbero assomigliare a due suore poste in preghiera. Essendo raggiungibile solamente via mare, questo tratto di spiaggia bianca, a ridosso del Conero, è un gioiello di natura incontaminata, senza nessun servizio. Sul fondo del mare davanti alla spiaggia e alle “due sorelle” ci sono i pochi rottami arrugginiti del naufragio del piroscafo da carico Potho, che andò a sbattere contro gli scogli dividendosi in due tronconi una notte di neve e bufera, la poppa affondò davanti ai faraglioni mentre la prua si arenò sulla spiaggia e ci rimase per molto tempo. Era la notte del 14 marzo del 1962, la nave batteva bandiera libanese e ventun marinai di nazionalità greca componevano l'equipaggio, dieci di questi scomparvero tra le onde della tempesta e pochi vennero restituiti dal mare, una croce con scritto "Persona Ignota" e la data del naufragio si trova nel cimitero di Numana mentre altre due vittime sono sepolte nel cimitero di Sirolo. I marinai superstiti restarono aggrappati per diverse ore al troncone di prua. Il guardiano della cava di pietra situata nella piccola baia proprio a nord delle Due Sorelle, Raimondo Barbadoro, invalido di guerra, fu il primo ad accorgersi del naufragio e andò a chiedere aiuto al fratello. Cesare Barbadoro assieme a due nipoti raggiunse la spiaggia e riuscirono a trarre in salvo alcuni marinai.

A tarda sera del 15 marzo sul relitto rimaneva ancora il direttore di macchina. Quando finalmente si decise ad abbandonare la nave e si buttò nelle gelide acque, rimase impigliato ad un cavo, Cesare si gettò in mare, lo raggiunse, lo liberò e lo portò a riva nonostante le numerose ferite riportate. La mattina dopo, a giorno inoltrato, giunsero finalmente i soccorritori. Il gruppo di marinai superstiti riuscì a risalire il monte Conero e arrivare a Sirolo attraverso il "Passo del Lupo" un sentiero già arduo, reso ancora più duro dalla neve, mentre il direttore di macchina ferito venne trasportato all’ospedale di Ancona via mare. Cesare Barbadoro per il suo coraggio fu insignito della Medaglia di Bronzo al valor civile. Il Potho era una nave da carico costruita in Olanda nel 1916 lunga circa 90 metri e larga 12 e la notte del naufragio trasportava un grosso carico di legname che si riversò sulla spiaggia sotto il paese di Sirolo che venne completamente coperta di tavole, in alcuni punti con cataste anche di tre metri e leggenda vuole che molto del legname in seguito fu usato per costruire le baracche dei pescatori. L'immersione è facile e poco profonda, ma la visibilità scarsissima, siamo tre clienti e tre guide, quindi mi affiancano una guida, poco dopo esserci immersi io mi fermo a fotografare e la guida non si ferma, continua imperterrito a pinneggiare come se stesse facendo una gara, io mi fermo li a continuare a fare i cavoli miei e dopo cinque minuti che vedo che lui non ritorna o non mi trova, riemergo, in sicurezza e lancio anche il pedagno come d'accordo durante il briefing, la scarsa visibilità della zona probabilmente fa si che ci si perda facilmente, anche se si è relativamente vicino alla spiaggia e le preoccupazioni non esistono.

Riemergiamo praticamente insieme a una ventina di metri di distanza, io praticamente ero sotto il gommone, chiarisco che io non devo fare una gara di velocità ma solo qualche foto e che se vuole che stiamo insieme mi deve aspettare. Sott'acqua sembra che mi abbia capito e mi sta praticamente sempre attaccato. Lo scafo è chiaramente completamente distrutto, lamiere sparse qua e la che ormai si sono perfettamente integrate al fondale che ospitano fauna di scogliera. Si distinguono ancora un albero, forse di carico, della nave, dei verricelli, la grossa elica quadripala sdraiata e le due grosse caldaie, una in verticale e una orizzontale, vicine che nei numerosi buchi ospitano tanti animali, da gronghi a murene, crostacei, molluschi, granchi di varie specie e nudibranchi, tanti animali da fango, immersione molto particolare e avvincente con quella scarsa visibilità che da una sensazione di avventura e mistero ma che poi quando si esce dall'acqua ti affascina con la bellissima vista di questo scorcio selvaggio di adriatico. Dopo un altro breve viaggio in gommone di circa tre miglia sbarchiamo nuovamente sulla banchina del porto di Numana e dopo aver riposto tutta la mia attrezzatura ed essermi cambiato al diving, torno in paese a prelevare denaro perché non gli funziona.

Prima di andar via però mi fermo al bar dello stabilimento balneare davanti al diving, dove ho lasciato in custodia il borsone, e mi bevo una birra Icnusa non filtrata alla spina bella fresca seduto su un divanetto mentre guardo i bagnanti. Poi tre ore di strada e autostrada e la notte la passo nel mio letto. Soddisfatto.

gigipeis

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