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domenica 15 dicembre 2019

Elviscot - Isola d'Elba 12 settembre 2019

A settembre sono andato all'isola d'Elba per una settimana a fare immersioni, mi ha invitato un vecchio amico, Brighel, che ha preso un diving center a Marina di Campo. In questa settimana mi ha portato due volte all'isola di Pianosa e mi ha fatto fare tante bellissime immersioni nella zona sud dell'isola d'Elba. Non poteva mancare l'immersione al relitto della Elviscot, conosciuto anche come “il relitto di Pomonte”, una piccola nave mercantile lunga poco più di sessanta metri e con meno di 500 tonnellate di stazza, costruita in Olanda nel 1960 proprietà di un armatore di Napoli, usata per il trasporto di legname, che la notte del 10 gennaio 1972 si schiantò contro lo scoglio dell'Ogliera di fronte alla spiaggia di Pomonte a sud-ovest dell'isola.
Partita da Taranto (altre fonti su internet dicono da Napoli) e diretta a Marsiglia, probabilmente cominciò ad imbarcare acqua a causa del mal tempo e il capitano decise di avvicinarsi a terra e far rotta verso l'isola d'Elba per cercare riparo ma andò a sbattere sullo scoglio, probabilmente non visto, e la prua vi ci montò sopra e si incagliò.
La nave venne abbandonata e l'equipaggio raggiunse la vicina spiaggia di Pomonte senza gravi conseguenze. Il relitto rimase con la poppa sott'acqua e la prua in secca sullo scoglio per diverso tempo, sembra che ci fu anche qualche incidente con bagnanti curiosi, ladri o piccole imbarcazioni e per questo motivo lo scafo fu fatto affondare completamente. Adesso Il relitto è adagiato con la murata di dritta su un fondale di sabbia bianca, vicino agli scogli a circa 12 metri di profondità, circondato da acqua cristallina e nuvole di castagnole e salpe, con la fiancata sinistra di poppa a pochi metri dalla superficie.
Noi arriviamo con l'Orsa Maggiore, la barca del diving di Brighel, dopo un immersione a Punta Fetovaia, poco distante, e siamo l'unico gruppo di sub ma in superficie c'è tanta gente, con maschera e boccaglio o che prende il sole sullo scoglio, che hanno raggiunto il sito dalla vicina spiaggia a nuoto, con canoe o pedalò. Mi dicono, e non è difficile da crederci, che in agosto il sito è trafficatissimo, pieno di natanti, bagnanti, subacquei e perde molto del suo fascino.
La bassa profondità e le mareggiate invernali stanno mettendo a dura prova il relitto che dopotutto non mi sembra in pessime condizioni, le strutture metalliche sono completamente incrostate da organismi marini, spugne e piccole alghe e sono un perfetto rifugio e attrattiva per tanti pesci, dalle murene e gronghi che vivono tra i pertugi nascosti a banchi di saraghi, orate, qualche corvina e tante salpe, occhiate e castagnole che vi trovano il loro cibo. Si riesce anche ad effettuare una piccola penetrazione, l'ambiente è un po' stretto e la visibilità scarsa ma sono molto affascinanti i giochi di luce che creano i raggi di sole che entrano attraverso le lamiere. Intorno al relitto ci sono anche tanti piccoli rottami che con il tempo si sono staccati dalla nave. Ritornando alla barca ammiro con più dedizione la grossa sagoma della poppa e l'immagine completa è veramente emozionante. Non posso fare a meno di scattare la foto “cartolina” che fanno tutti e che anni fa, nel 1987, col relitto meno danneggiato, il fotografo subacqueo Claudio Ziraldo ha vinto il Grand Prize Nikon Photo Contest.
Due giorni dopo, ho il mattino libero e decido di andare alla spiaggia di Pomonte, il relitto è molto vicino alla spiaggia e lo raggiungo a nuoto con maschera e boccaglio, l'acqua è cristallina e tra sprazzi di posidonia e sabbia noto altri rottami sparsi, tra cui un pezzo di fiancata di notevoli dimensioni che non avevo notato durante l'immersione. Anche in snorkeling il relitto non delude, e si nota anche meglio come la fiancata di sinistra sia molto vicina alla superficie, tanto che con un tuffo, senza pinne perché le ho scordate da Brighel, riesco a toccare la parte più alta.

domenica 8 settembre 2019

35AWARDS 2019

Il partecipante al concorso tematico 35AWARDS:
Shipwreck Diving.
Secondo i risultati della votazione principale "The Bow of Equa - Liguria - Italia" è entrato nella classifica TOP 35 migliori foto del concorso. Inoltre, l'autore è entrato nella classifica dei primi 10 migliori fotografi. Hanno preso parte 167 persone provenienti da 35 paesi e 98 città. In totale, sono state presentate 407 fotografie per il concorso.
Giuria: Gonzalo Pérez Mata (Spagna), Oxana Kamenskaya (Federazione Russa), Reiko Takahashi (Giappone).

martedì 3 settembre 2019

Immersione alla Egle e al Costante, Villasimius

Sono a Carbonia, parto presto in macchina direzione Villasimius, dove arrivo verso le 8:00. faccio conoscenza con Simone e Margherita del Diving Acquaman e con l'unico altro cliente che arriva poco dopo di me, prepariamo l'attrezzatura con calma e con una vecchia Jeep raggiungiamo il porto e carichiamo il gommone.
Arriviamo sul punto d'immersione nella zona B dell'Area Marina Protetta di Capo Carbonara, precisamente sul relitto della Egle. La Egle era un piroscafo da carico lungo circa settanta metri del compartimento marittimo di Genova, varato nel 1893, requisito nel 1942, durante la seconda guerra mondiale, dalla Regia Marina e adibito al trasporto di rifornimenti. Il 29 marzo 1943 partiva da Cagliari per portare carbone a La Maddalena ma a circa un miglio da Capo Carbonara incrociava il sottomarino Olandese Dolfijn che lo centrò con tre siluri, facendolo affondare.
Scendo lungo la catena che tiene la boa legata ad un grosso verricello. Il mare è un po' mosso e in superficie, fino ad una discreta profondità, c'è una forte corrente. Il relitto è adagiato su un fondale detritico tra i trentacinque e i trentotto metri, molto deteriorato, la poppa distrutta dai siluri e il resto della nave finito schiacciato e collassato dal peso del suo carico. L'immersione è comunque molto affascinante, non posso farci nulla, mi piacciono i relitti ed i rottami, scatto foto a caso e guardo da tutte le parti, tante castagnole, saraghi, donzelle, una cernia si nasconde velocemente, un grosso scorfano sotto un anello in metallo rimane li a farsi guardare, flabelline, spugne e qualche rara gorgonia.
Ciò che rimane della prua è quasi del tutto insabbiato, il resto della nave è un insieme di lamiere e travi, dove si distinguono bitte, scale a pioli, tubi, ma vista dall'alto, mentre si risale, si riconosce ancora la sagoma di una nave in assetto di navigazione. Risaliti in gommone dopo trentacinque minuti sott'acqua, ci dirigiamo verso il secondo punto d'immersione, riparati dall'isola dei Cavoli il mare è più che calmo. Mentre aspettiamo, per dare al nostro corpo un adeguata sosta in superficie, facciamo merenda.
Siamo in zona A dell'Area Marina Protetta, tra degli scogli a est dell'isola dei Cavoli. Anche qui c'è quello che rimane di un relitto, il Costante, chiamato il relitto dei tubi, perché trasportava grossi tubi in cemento per fognature che sono ancora sparsi sul fondale. La poca profondità e le forti mareggiate hanno fatto a pezzi e sparso su una vasta area ciò che rimane della nave e del suo carico, affondata negli anni settanta. Oltre tante lamiere irriconoscibili, si trovano i resti della prua, del blocco motore, tubi e tanti rottami intriganti.
La vita qui è anche più interessante che sulla Egle, oltre le castagnole, tante salpe, i saraghi, le orate e le corvine, tra le lamiere, murene, scorfani, tante cernie, e cosa curiosa, dei coloratissimi pesci pappagallo, che non avevo mai visto. Dopo un ora d'immersione risaliamo sul gommone e guardando il faro dell'isola dei cavoli rientriamo in porto, scarichiamo il gommone e carichiamo il carrello attaccato alla Jeep e con questa torniamo al Diving.
Dopo lavato l'attrezzatura e bevuto un bicchiere di birra mentre aspetto che sgoccioli un po' facendo delle chiacchiere con Simone e Margherita, carico tutto in macchina e me ne torno a Carbonia.

sabato 3 agosto 2019

Immersione al Relitto Pelagosa, Genova

Alle 5:15 mi metto in viaggio verso Genova, verso le 8:00 esco dal casello di Nervi e in poco più di 10 minuti arrivo alla fiera di Genova, famosa per il salone nautico che si svolge ogni anno in settembre. Parcheggio davanti al padiglione blu a pochi metri dal Libeccio Tek Diving. Verso le 10 salpiamo con il grosso gommone e ci dirigiamo verso levante, pochi minuti di navigazione e ci fermiamo a circa 1,5 miglia da terra, tra Sturla e Quarto. Per l'immersione siamo quattro sub, mentre il proprietario, la moglie ed un amico restano in gommone. Io vado giù con un tipo che mi sembra di aver già visto da qualche parte e l'altra coppia sono marito e moglie di Modena, andiamo giù senza guida. Il cielo è pulito ed il mare calmo, in superficie c'è una buona visibilità che dopo i 20 metri purtroppo peggiora ma rimane comunque accettabile.
Il Pelagosa era una nave da guerra posamine italiana della seconda guerra mondiale, un unità dedicata alla posa di torpedini sottomarine, soprattutto per creare sbarramenti sotto costa contro l'intrusione di sottomarini nemici. Fu varato nel 1927 nei cantieri di Castellamare di Stabia (NA), era lungo quasi 70 metri e largo 10, aveva due motori diesel da 700 cavalli l'uno, poteva raggiungere i 10 nodi ed aveva un equipaggio di 71 uomini. Era dotato anche di un cannone e due mitragliatrici.
Fu la prima nave italiana fatta colare a picco dopo l'armistizio dell'8 settembre 1943 dall'ex alleato tedesco. L'armistizio la sorprese nel porto di Genova. La mattina del 9 settembre per evitare la cattura da parte dei tedeschi che stavano occupando la città, il Pelagosa molla gli ormeggi e si dirige verso il porto di Livorno non ancora occupato. I tedeschi nella notte avevano occupato le batterie e i bunker sulle alture di Nervi e quando videro la nave aprirono il fuoco senza nessun avviso, centrando la nave e affondandola.
Il relitto è molto rovinato, ci sono lamiere e rottami sparsi sulla sabbia e la caratteristica particolare è che il troncone principale si trova capovolto, con la chiglia che guarda il cielo, posato su un fondo fangoso a circa 38 metri dalla superficie. Scendiamo seguendo il cavo del pedagno che ci porta a poppa dove si vedono bene la grossa pala del timone e i due reggi alberi delle eliche che non ci sono più. proseguendo verso prora, sul lato di dritta, tra i confusi rottami, spunta una torretta. Il tipo che è sceso con me, come da accordi presi in precedenza, penetra all'interno del relitto mentre io proseguo l'esplorazione esterna fino alla prua ed affacciandomi all'interno in alcune spaccature.
La prua è staccata dal troncone principale ed è molto mal ridotta, su uno spuntone ci sono uova di calamaro. Ci ritroviamo a poppa e cominciamo la risalita insieme dopo poco meno di 20 minuti di fondo con una miscela EAN 30% e una durata totale di 30 minuti senza accumulare minuti di deco. Ad un certo punto, mentre risaliamo, intorno a noi gira un banco di tonnetti e quando riemergiamo, poco distante dal gommone vediamo dei delfini. Una volta a bordo il gommone fa i capricci e non parte ma ci lavorano su e con un po' di fortuna riescono ad accenderlo. Con la stessa bombola, rientrati al molo e aspettato altri subacquei ci rimettiamo in mare e faccio un altra immersione sul lato esterno, in un angolo della diga foranea, del porto di Genova dove c'è il relitto di una chiatta usata per il trasporto dei massi per la costruzione della diga. Immersione facile e divertente. Verso le 15:30 mi rimetto in macchina ed arrivo a casa verso le 19:00.

domenica 26 maggio 2019

Immersione alla Nave oneraria Romana di Albenga

Partenza alle 5 da casa, tre ore e mezza di viaggio e arrivo al porto Alassio, dove trovo la Sealight, una bella barca con tutti i confort, del Mola Mola Diving.
Il capitano, proprietario della barca resterà a bordo, Alberto Balbi, un fotografo che nel 2015 mi ha premiato con una menzione speciale al concorso "Furio Benigni" di Genova, ci farà da guida subacquea. Oltre me ci sono solo altri due sub. Il mare è calmo, non c'è vento e il sole è leggermente coperto Nel 1925 un pescatore recuperò 3 anfore e la notizia fece incuriosire delle personalità dell'archeologia che organizzarono ricerche e quindi delle campagne. Nel 1950 ci fu il primo recupero con la famosa nave "Artiglio" ed i suoi palombari. .
Recuperarono tante anfore, alcune anche sigillate con all'interno del vino. La campagna fu presieduta dal famoso archeologo Giovanni Lamboglia dando via al primo "scavo" subacqueo e quindi all'archeologia subacquea. Negli anni si sono svolti diversi scavi e ricerche, i risultati più importanti furono svolti tra il 1970 e 71 e si capì che il relitto si trova ancora sotto la sabbia e si stima trasportasse circa diecimila anfore, probabilmente la rotta era dal sud Italia al sud della Francia.
Ogni anfora piena pesava circa 45 chilogrammi, quindi la nave aveva una portata di 450 tonnellate e al momento sembra sia il relitto di una nave oneraria Romana più grande ritrovato. Tra i vari oggetti rinvenuti tra le anfore ci sono i frammenti di due elmi in bronzo, un corno in piombo, vasellame e piccoli strumenti non identificati. La nave è stata datata al primo secolo avanti Cristo. L'immersione tra i resti delle anfore è molto suggestiva, praticamente un immersione quadra a poco più di 40 metri su un letto di sabbia, tempo di fondo 15 minuti, le anfore sono tantissime e nei buchi nascondono murene, gronghi, scorfani, ricoperte di spugne e incrostazioni, intorno nudibranchi, castagnole e altri piccoli pesci. Alcune anfore sono state ammucchiate fuori dal relitto dagli studiosi e coperte con dei teli di plastica che con le mareggiate si stanno spostando e lasciano vedere gli accumuli di anfore. Ci sono anche alcuni cavi del reticolo di studio e dei corpi morti dove probabilmente si ancorò l'Artiglio per i suoi recuperi. Accumuliamo qualche minuto di deco e l'immersione in totale dura 32 minuti, profondità massima 40 metri, temperatura dell'acqua sul fondo 16 gradi.
Una volta a Bordo ci aspetta della focaccia, della pizza e delle bibite, poi ci dirigiamo verso l'isola della Gallinara dove faremo la seconda immersione. L'isola è privata e non si può visitare, durante la seconda guerra mondiale fu occupata dai tedeschi che ci scavarono due tunnel che si incrociano, dove tenevano e trasportavano tra le varie parti dell'isola, munizioni e armi che buttarono a mare quando furono sconfitti, le sue coste sono state bonificate non tanti anni fa, anche se non del tutto.
L'immersione è molto gradevole, buona visibilità e tanta vita sottomarina con la caratteristica che ad un certo punto si trova un carrello dei tunnel tedeschi rovesciato. Anche questa volta, quando risaliamo, ci aspetta un piccolo rinfresco e poi si naviga verso il porto di Alassio. Rientrato in porto e sistemato tutto mi dirigo verso un hotel prenotato su internet, dopo un piccolo riposino vado a visitare Alassio e cenare con una pizza sul lungomare.
La mattina seguente, domenica, dopo colazione vado ad Albenga per visitare il museo dedicato alla nave Romana che espone gli importanti reperti recuperati dal relitto ed un centinaio di anfore disposte come lo erano originariamente sulla loro nave, in un’apposita rastrelliera in legno che ne riproduce il “ventre”. Faccio una passeggiata anche per il centro storico di Albenga che trovo molto interessante e dopo una focaccia e una bibita mi rimetto in macchina e dopo quattro ore abbondanti sono a casa.

domenica 3 febbraio 2019

Rocca Calascio

Finita l'immersione al Lago di Capodacqua, sistemata l'attrezzatura e bevuto un te caldo scambiando qualche chiacchiera con gli altri subacquei, passo al B&B a prendere i bagagli e poi decido di andare a visitare Rocca Calascio che si vede in lontananza sul cucuzzolo di una montagna.

Mi avvio in macchina e dopo qualche chilometro lascio la strada principale e prendo una piccola strada mezzo malandata che sale e diventa sempre più ripida e piena di tornanti. Passo il paese di Calascio e dopo qualche altro tornante arrivo al borgo medievale, una volta abbandonato, ora qualche edificio è stato ristrutturato per farci ristoranti e negozietti.

Lascio la macchina poco fuori dall'antico borgo e mi avvio verso la rocca, comincia a nevicare, il sentiero non è facilissimo ma il paesaggio è qualcosa di indescrivibile, un'ampia veduta dei principali gruppi montuosi dell'Appennino abruzzese, dal Gran Sasso alla Maiella, ai Monti Marsicani e la Valle del Tirino.

Rocca Calascio è un antica fortezza situata in Abruzzo, in provincia dell'Aquila, ad un'altitudine di 1450 metri nel Parco nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga, il castello è tra i più elevati d'Italia ed è considerato uno dei simboli dell'Abruzzo, usato per diversi set cinematografici.
National geographic ha inserito Rocca Calascio tra i 15 castelli più belli al mondo.

Immersione tra i mulini medievali sommersi di Capo d'Acqua

Parto il sabato mattina, non prestissimo, mi attende un lungo viaggio, cinque ore di macchina da dove vivo, in provincia di Reggio Emilia, fino al lago di Capo d'Acqua in provincia de l'Aquila, in abruzzo.
La strada è lunga e mi fermo un oretta per il pranzo al sacco e una passeggiata davanti al mare, a Grottammare in provincia di Ascoli Piceno poi proseguo ed arrivo nell'azienda agricola dove passerò la notte, circondato da montagne e da una natura che mi sembra quasi selvaggia. Capo D'Acqua è una piccola frazione, qualche casa sparsa qua e là, del comune di Capestrano un misto di borgo medievale e paese fantasma. Arriva la domenica mattina e mi aspetta l'immersione. Siamo una decina di sub, dopo il caffè ed aver preparato l'attrezzatura mi accorgo che io sono l'unico con la muta stagna, nonostante siamo ai primi di febbraio e su internet ho letto che era assolutamente consigliata perchè l'acqua è sempre fredda, intorno ai 10 gradi.

Il lago di Capo d'Acqua si trova nel Parco Nazionale del Gran Sasso e dei monti della Laga, nella valle del Tirino, in Abruzzo. L'immersione è facile ma molto affascinante, in un invaso, alimentato da molte sorgenti, realizzato negli anni sessanta per l'irrigazione dei terreni agricoli circostanti ed oggi usato anche per la produzione di energia elettrica. L'acqua è limpidissima, la visibilità è ottima e l'ambiente sommerso molto suggestivo. In acqua si conservano i ruderi di due mulini medievali in un paesaggio un tempo fulcro dell'importante economia locale. Il primo mulino che vediamo funzionava ancora quando è stato creato l'invaso, è quello in peggior stato di consevazione però si possono ammirare le pale in ferro, che hanno sostituito le più antiche in legno, che azionavano le macine.
L'altro mulino è un insieme di strutture e ambienti sommersi  molto belli ed affascinanti, nonostante fosse già un rudere alla creazione della diga che ha riempito d'acqua quel naturale avvallamento. Verso riva, quasi completamente emerso, si trovano le rovine del colorificio con di fronte bei cespugli di canne che dal fondo del lago cercano la superficie.




domenica 20 gennaio 2019

Saverne - Case a graticcio, castelli e rovine al confine tra Alsazia e Lorena.

Riprogongo qui l'articolo che è stato publicato sul numero 36 di ottobre 2018 di Giroinfoto magazine.


Per motivi di lavoro, alla fine di luglio, mi ritrovo a dover andare in Francia, in una piccola cittadina in Alsazia, che non avevo mai sentito nominare e che si rivelerà una piacevole scoperta. Al confine tra le regioni storiche dell' Alsazia e della Lorena si trova la cittadina di Saverne, a ovest del dipartimento del Basso Reno, e lungo il tracciato della Route Nationale 4 che collega Strasburgo a Parigi. La città è a circa quaranta chilometri da Strasburgo, capoluogo del dipartimento e della regione e sede, con Bruxelles, del Parlamento europeo.
La città è attraversata dallo Zorn, e dal Canale Marna-Reno. Su internet ho letto che lungo i bordi di questo canale passa l'itinerario ciclabile che collega Londra a Brindisi passando anche per Roma. Saverne ha sempre occupato una posizione strategica perchè nelle vicinanze il “Col de Saverne” apre un grande passaggio naturale tra l'altopiano della Lorena e la piana d'Alsazia, attraverso il Massiccio dei Vosgi, la catena montuosa che si estende lungo il lato occidentale della valle del Reno in direzione nord-ovest. La cittadina è molto carina e richiama uno stile architettonico centro europeo più tedesco che francese ma dopotutto qui siamo in Alsazia, regione più volte contesa tra la Germania e la Francia. Passeggiando tra le vie vicino all' hotel, mi colpiscono molto le case a graticcio, che formano un insieme urbanistico tipico che caratterizza il centro storico della cittadina. Le case a graticcio sono costituite da una serie di travi in legno disposte orizzontalmente, verticalmente e obliquamente, le travi rimangono a vista nella facciata dell'edificio dandone un particolare e caratteristico stile.
La grande piazza del centro cittadino si apre sul bellissimo castello Rohan, con la sua stupenda facciata neoclassica, costruito alla fine del XIII secolo e restaurato nel XVIII secolo su iniziativa di Napoleone III, questo ex castello episcopale antica sede dei principi vescovi che elessero Saverne sede diocesana destinata a perdurare centinaia di anni, ospita oggi un museo, una associazione culturale, un ostello della gioventù e una scuola. Poco lontano si staglia verso il cielo, attaccata al antico castello “Oberhof”, anch'esso ex residenza vescovile, la torre “Cagliostro”, alta e affusolata, in arenaria rossa, coronata da un tetto con quattro lati, dove Cagliostro, personaggio italiano misterioso e tormentato che viene ricordato soprattutto per le sue truffe, essendosi stabilito a Saverne su invito del Principe di Rohan, si sarebbe impegnato in oscuri esperimenti, più vicini all'alchimia che alla scienza.
Il principale santuario della chiesa cattolica di Saverne è “Notre Dame en sa Nativité” un maestoso edificio in stile romanico, caratterizzato da una magnifica torre-portico romanico risalente al XII secolo, e dallo stile gotico, di cui una navata del XV secolo. Ora è la chiesa parrocchiale della città ed è stata elencata come monumento storico dal 1977. Fuori dalla città si alzano le rovine del castello di Haut-Barr, soprannominato "L'occhio di Alsazia", è costruito su tre grandi rocce collegate tra loro da una passerella, chiamata “Ponte del Diavolo” e una rete di scale che conducono alle parti più alte del castello dove si apre una vista spettacolare sulla pianura alsaziana e i Vosgi.
Tra le rovine si trova una struttura che ospita un ristorante. Dell'edificio originale costruito nel XII secolo, restano ancora una loggia signorile e una cappella romanica dedicata a San Nicola. Il castello è stato restaurato e ampliato nel XVI secolo, come testimoniano le mura e i bastioni. Fantastiche rovine e un paesaggio mozzafiato si possono trovare a Lutzelbourg. Un altro castello in rovina su un promontorio roccioso di un altra piccola cittadina a pochi chilometri da Saverne, sempre lungo il canale Marna-Reno e la valle del Zorn. Classificato monumento storico nel 1930. E' ancora possibile ammirare una grande torre quadrata costruita nel XII secolo, di 24 metri di altezza e varie pareti e altre porte.




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