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domenica 13 giugno 2010

# Passaggio in Laos

Mi chiedo perché a volte sono così ingenuo.
L'11 dovevo partire da Sapa alla volta di Dien Bien Phu, per poi prendere un autobus e attraversare la frontiera per entrare in Laos, solo che ha piovuto tutta la notte, tanto, e la mattina l'autobus non parte perché la strada è interrotta da frane. Avevo comprato il biglietto in hotel, e il tizio mi assicura che il giorno dopo la strada sarebbe stata liberata e l'autobus sarebbe partito. Io gli ho creduto, ed in effetti aveva ragione, ma il viaggio è stato un incubo. Ho chiesto varie volte quante ore ci vogliono da Sapa a Dien Bien Phu, e tutti mi dicono 8 o 9 ore, perciò io mi ero fatto l'idea che ci volessero 10 o 12 ore, invece ce ne ho messo molte di più, ben 19.
Intanto mi dicono alle 7:30 in reception ma solo alle 8:30, con una moto mi accompagnano ad un incrocio quasi fuori dalla cittadina, dove ci sono altri turisti che aspettano. Verso le nove arriva un autobus, vecchio e sgangherato, di quelli pubblici, dove ne l'autista ne l'aiutante parlano inglese. Per fortuna trovo il posto a sedere perché dopo un po' che va, l'autobus si riempie e qualcuno deve sedersi per terra, su dei pacchi o valigie che riempiono il corridoio.
Dobbiamo scendere e camminare diverse volte, perché la strada in alcuni tratti scompare per diventare un lago di fango, oppure star fermi ad aspettare perché due veicoli insieme non passano e rimangono incastrati.
Ci fermiamo una mezz'oretta a mangiare poco fuori da Lai Chau, in una baracca su una strada dissestata. È incredibile come questa piccola città persa tra le montagne abbia grandi costruzioni, palazzi e larghi viali asfaltati, ma le strade sono vuote, sembra una città fantasma fuori dal suo contesto, intorno montagne, foreste e fango.
Il viaggio continua e la strada peggiora, oltre alle frane ci sono dei lavori in corso per costruire la nuova strada, e le deviazioni provvisorie, con le piogge sono diventate degli scivolosi pantani, dobbiamo scendere e camminare nel fango, riempiendoci, sotto il sole cocente o la pioggia, più volte.
Col buio arriviamo in un punto dove due camion bloccano la strada. Poco lontano qualche baracca che vende da bere e da mangiare. Dopo tanto tempo ad aspettare, sotto la pioggia e con il fango alle caviglie, ci fanno capire che passeremo la notte li. C'è da mettersi l'anima in pace e rassegnarsi, mi infilo in una baracca, la gente non parla inglese, esclusi gli altri turisti spaesati come me. Cerco di chiedere da mangiare, ma non capiscono, oltre alle parole sembra che anche i gesti qui siano diversi, alla fine mi fanno vedere dei biscotti, che non mi vanno, anche perché la confezione è piena di sabbia e polvere, chissà da quanto tempo sono li, al caldo e all'umido. Mi faccio spazio tra gli avventori fradici e infangati ed entro in cucina, indico il riso e le pentole nere di fuliggine ma la signora, anche se con il sorriso, mi urla in vietnamita e con una mano fa il gesto come per mandar via le mosche. Il suo modo di fare mi da fastidio, così esco e dopo un altra piccola camminata tra il fango sotto la pioggia, entro in un altra capanna. Qui un ragazzo con un simpatico sorriso contagioso parla un pochino di inglese e mi chiede se voglio bere qualcosa. Gli faccio vedere la bottiglia vuota di te freddo e gli chiedo quanto costa, mi dice 15000 dong, io gli dico 10000 e lui mi dice che va bene e ripete più volte “sorry”. Mi invita a sedermi con gli altri avventori, tra cui una donna inglese col figlio che viaggiano sul mio autobus. Gli portano da mangiare riso e pollo, il ragazzo nota il mio interessamento e mi chiede se voglio mangiare. Faccio capire di si, e dopo un po' che cerchiamo di comunicare senza capirci arriviamo ad intenderci. Il pollo è finito e cerca di chiedermi se va bene qualcos'altro, ma non capisco cosa, fino a che la cuoca interviene e mi fa vedere due uova. Va bene, un po' di riso con due uova fritte e una sonora risata liberatoria.
Poco dopo, appena finito di mangiare, arriva il ragazzo dell'autobus e ci fa cenno di andare, la strada si è liberata e l'autista ha deciso di proseguire. Intanto l'autobus si è spostato, salendo lungo la scivolosa, e piena di fango, salita che mi tocca fare a piedi sotto la pioggia. Alle tre e mezzo arrivo alla stazione di Dien Bien Phu, aspetto e alle cinque e mezzo parte il minibus, pieno di gente, pacchi e valige, che attraversa il confine e mi porta a Mueng Khua, la prima cittadina degna di nota al di la della frontiera, in Laos.
Il minibus ha due volte il numero di passeggeri che può portare, e lungo la strada si ferma a caricare altre persone con i loro pacchi, fino a che diventa proprio impossibile, ci sono dei ragazzi che stanno rannicchiati con i piedi sopra lo schienale dei sedili.
Fino al check-point vietnamita, dove scendiamo e ci timbrano il passaporto, la strada non è delle migliori ma è abbastanza agevole, dopo l'ufficio laotiano, dove compro il visto e espleto le lunghe formalità, la strada diventa di nuovo sterrato e fango, con delle frane che vengono rimosse da ruspe mentre aspettiamo, per fortuna non piove e a tutte le soste scendiamo a prendere aria e sgranchirci le gambe, ogni volta che dobbiamo rientrare sembra di giocare a tetris, c'è anche chi imbroglia ed entra dai finestrini.
L'autobus arriva fino alla riva di un fiume, dall'altra parte Mueang Khua, ma non c'è il ponte, i mezzi più piccoli attraversano il fiume su una chiatta spostata a mano, ma noi dobbiamo scendere, prenderci i bagagli e raggiungere l'altra sponda su una piccola, lunga e stretta barchetta. Insieme agli altri turisti, prendo un tuk-tuk per la stazione degli autobus, che è dall'altra parte della cittadina, dove prendiamo l'autobus per Udomxai su una strada abbastanza decente.
Udomxai è un'importante nodo dei trasporti del nord del Laos. Con gli altri viaggiatori inglesi andiamo in una guesthouse dove passiamo la notte, dopo aver fatto bancomat e cenato insieme, aspettando la mattina per prendere l'autobus per Luang Prabang, la mia prima meta nella Repubblica Democratica Popolare Lao.

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