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domenica 30 maggio 2010

# Hué

La tappa successiva è Hué, distante da Hoi An quattro ore di autobus.
Hué era la capitale dell'impero Nguyen, dove risiedeva l'imperatore (anche se non aveva poteri, visto che “l'impero” era una colonia Francese) fino alla vittoria dei comunisti.
La città vecchia è circondata da possenti mura, stesa su una sponda del fiume dei profumi (nome romantico per un fiume, ma chissà perché si chiama così!). Il mio hotel sta sulla riva opposta, appena attraversato il ponte Trang Tien, dato che ormai la città si è espansa molto al di fuori delle mura.
All'interno delle mura c'è un'altra cittadella, ex residenza dell'imperatore, con templi, palazzi, pagode, teatri e musei.
Durante la guerra con gli americani, Hué venne pesantemente colpita, conquistata dai comunisti, gli americani
non risparmiarono le bombe e interi quartieri vennero distrutti. Si dice che persero la vita circa diecimila persone, naturalmente soprattutto civili.

sabato 29 maggio 2010

# My Son

Hoi An. Con un tour prenotato in hotel, vado a visitare le rovine di My Son, distanti una sessantina di chilometri. Il sito, probabilmente, era il cuore religioso ed intellettuale dell'impero Champa, e rimane il più grande sito archeologico del Vietnam. Il complesso non è molto grande e le rovine sono tutte vicine tra loro. My Son, durante la guerra del Vietnam venne usata dai Viet Kong come base militare e le bombe americane distrussero alcuni dei più importanti monumenti, si possono ancora vedere i crateri lasciati dalle bombe dei B52.

venerdì 28 maggio 2010

# Nha Trang, Quy Nhon, Hoi An.

Dal 21 al 27 sono stato a Nha Trang, la località balneare più famosa del Vietnam, dove per tre giorni ho fatto immersioni, 34 dollari al giorno, 2 immersioni, pranzo, caffè, frutta, trasporto al porto, biglietto del parco naturale, partenza alle 7:30 e ritorno tra l'una e le due, al largo di Nha trang nei dintorni dell'isola di Mun su una grande e comoda imbarcazione.
Immersioni molto belle, dove ho potuto imparare ad usare meglio la macchina fotografica, grandi e spettacolari banchi di corallo, grotte, vita interessante, pesci scorpione bianchi e neri, pesci leone, pesci pietra, seppie, stelle marine, murene, una tartaruga e i vari e coloratissimi pesci tropicali.
Il terzo giorno i ragazzi del dive center mi regalano anche una polo col logo del dive center.
A Nha Trang ho anche visitato le torri Cham di Po Nagar, retaggio dell'antico impero Champa, raggiunte a piedi. Dopo Nha Trang sono andato a Quy Nhon, dove mi sono fermato per due notti, posto meno turistico ma interessante per ammirare da un altro punto di vista il Vietnam e i suoi abitanti, anche qui ho visitato un sito con due torri Cham, ma ่ meno interessante di Po Nagar.
Da Quy Nhon vado con un autobus pubblico fino a Danang ma nella stessa stazione prendo un autobus giallo, vecchio e sgangherato, che mi porta ad Hoi An, piccola cittเ coloniale risparmiata dalle devastazioni della guerra. Molto turistica e carismatica con le sue malmesse stradine e vecchie case coloniali vicine al fiume trasformate in negozi o ristoranti. Il fiume, la notte di luna piena (ieri notte) si riempie di lanterne galleggianti colorate.

giovedì 20 maggio 2010

# Cu Chi Tunnel

Ho prenotato tramite l'economico hotel dove risiedo a Saigon un tour alle gallerie di Cu Chi, questa rete di gallerie divenne famosa per aver facilitato ai Viet Cong il controllo di un ampia zona rurale a soli 30 chilometri dalla capitale Sud Vietnamita. Il gruppo è numeroso, forse una quindicina di persone, e con un autobus raggiungiamo il distretto rurale di Cu Chi, tra le campagne un po' secche appena abbandonata Ho Chi Minh City. Durante la guerra la rete si estendeva per circa 250 chilometri su diversi livelli, ed ora alcuni tratti sono diventati un attrattiva turistica. Il sito comprende varie botole, stanze, officine, infermerie, trappole per gli americani, una mostra di armi rudimentali e bombe inesplose, ci guida un ragazzo giovane, nipote di Vietnamiti che hanno vissuto per anni nei tunnel. La zona fu devastata dalle bombe, dal napalm e dall'agente arancio, si vedono resti di bombe e crateri lasciati da queste, mentre la vegetazione è ricresciuta prospera e rigogliosa.
I tunnel sono molto stretti, bui e bassi e ci fanno visitare solo una piccola parte. Il Vietnam del Nord, con i Viet Cong, dice di aver vinto la guerra, ma la disfatta di tantissimi esseri umani, da entrambe le parti, anche se sono morti ed hanno avuto più ripercussioni i vietnamiti, fa si che non esistano vincitori, ma solo perdenti.
E ripensando a ciò che ho visto ieri al War Remnant Museum con quello che ho visto e i racconti di oggi, mi viene in mente lo spot di Emergency:
IO RIPUDIO LA GUERRA.
Il War Remnant Museum, o museo dei residuati bellici, è il più visitato dai turisti occidentali ed è una testimonianza di quanto la guerra sia spaventosa e brutale, soprattutto con i civili. Impressionanti le foto di bambini mal formi a causa dell'uso dell'agente arancio da parte degli americani e che tutt'ora miete le sue vittime, che con un occhio attento si possono notare anche per le strade.

lunedì 17 maggio 2010

# Ho Chi Minh City - Saigon

Alcune immagini di Ho Chi Minh City, ancora chiamata Saigon dai suoi abitanti e da quasi tutti i vietnamiti del sud.
Grande città, molto trafficata e attiva, con tanti mercati, viali molto larghi stracolmi di motociclette, qualche museo e tanti turisti. Con un mototaxi ho raggiunto la stazione degli autobus pubblici di Can Tho. Subito dopo parte l'autobus, il tragitto è tranquillo, con qualche fermata. Sono arrivato in una grande e caotica stazione degli autobus fuori dal centro, che raggiungo con un autobus urbano, il 2, che costa solo 3000 dong. Non arrivo proprio in centro, ma nella zona dove ci sono tanti hotel economici, bar, pub, sale massaggi, ristoranti e negozi di souvenir, nei pressi della strada Pham Ngu Lao. Cammino un po' nei dintorni, tra le vie vicine e mi sistemo in un hotel nella via parallela. Questa è la zona dove alloggiano la maggior parte dei turisti con budget limitato o che vogliono risparmiare e c'è sempre del casino fino a notte fonda, con musica nei locali e turisti ubriachi per le strade.






domenica 16 maggio 2010

# Mercati galleggianti nei pressi di Can Tho

Con un minibus, in circa tre ore, raggiungo Can Tho, la città più grande della regione del delta del Mekong. Mi sistemo in un hotel consigliato dalla Lonely Planet, vicino all'animatissimo lungofiume e dove mi viene proposta un escursione in barca per visitare alcuni mercati galleggianti della zona e un giro tra i piccoli canali.
Vado a mangiare in un ristorante sul lungofiume, proprio di fronte alla statua di Ho Chi Minh con tante bandiere rosse con falce e martello e con la stella gialla della bandiera del Vietnam. Passeggio per le vie dei dintorni, tra negozi di souvenir e di ventilatori, tra venditori ambulanti di frutta e mercatini, tra meccanici in strada e venditori di lapidi, vado a visitare il grande museo dedicato per lo più alla resistenza contro le dominazioni straniere e alla guerra contro gli americani.
Il giorno seguente la sveglia suona prestissimo, un ceffo passa a prendermi a piedi alle 5:30 e mi accompagna in un bar dove mi viene offerto un te, poi salgo su una piccola barchetta proprio mentre sorge il sole. Solo con il barcaiolo. Si naviga per un po' prima di arrivare al mercato, nel frattempo incrociamo e veniamo superati da varie imbarcazioni di diverse dimensioni. Il mercato è bello grande, o meglio, ci sono tante barche, dalle più piccole, come quella dove sto io, che vendono cibo che cucinano, chi vende frutta, chi merceria, barconi più grandi con gente che carica o scarica, altri turisti in barche da comitiva. Molto suggestive le piccole barche con una o due donne, quasi sempre con il cappello a cono, che si spostano di qua e di la o magari ferme aggruppate su una sponda del fiume.
Si riparte, ma prima di raggiungere l'altro mercato ci inoltriamo tra stretti corsi d'acqua e ci fermiamo a visitare una piccola fabbrica, a conduzione familiare, di noodles. Di nuovo in barca fino all'altro mercato, più piccolo, con molte più barchette a remi, le merci sono sempre le stesse, per lo più frutta, vestiti e cibo. Mangio una scodella di noodles cucinati su una di queste barche, circondato da decine di altre barche e dove alcune donne, tra cui quella che me li ha venduti, mi prendono in giro e ridono per come uso le bacchette, che già non sono il mio forte seduto ad un tavolo, figuriamoci tenendo la scodella bollente in mano col dondolio della barca.
Dopo ci infiliamo lungo canali minori, passando sotto bassi ponti, tra casette fatiscenti e folta vegetazione. Ci fermiamo in un ristorante su una riva, però io ho già mangiato e dopo una coca cola vado a fare una passeggiata nei dintorni dove ci sono orti coltivati, alberi da frutta, ananas, cani che mi inseguono e case con gente che sembra non far nulla. Quando torno al ristorante mi invitano a sedermi a tavola con i barcaioli e mi offrono qualcosa da mangiare e del vino di riso, molto forte, mentre vicino a noi una vecchia prepara degli involtini primavera per il ristorante, almeno credo. Continuo la navigazione con il mio barcaiolo ubriaco che va a zig zag, ma arrivo poi all'hotel sano e salvo ed asciutto.

venerdì 14 maggio 2010

# Passaggio in Viet Nam

Sono rimasto qualche giorno a Phnom Penh, o meglio son ritornato per qualche giorno, dopo esser stato a Kampong Cham (sul Mekong) e a Kratie (sempre sul Mekong per avvistare dei rari delfini), ad aspettare il visto per il Vietnam che ho richiesto tramite l'hotel - ristorante - agenzia turistica - stazione degli autobus, dove alloggio, in un quartiere popolare vicino ad un grande mercato, trafficatissimo il giorno ma desolato la sera.
Una volta restituitomi il passaporto con tanto di visto ho comprato il biglietto per attraversare il confine via Mekong.
Partenza alle 11:30, con un confortevole van con aria condizionata, dopo un'ora di strada si arriva in un piccolo villaggio dove c'è il molo, e dopo pochi minuti, quando arriva anche altra gente, mi imbarco su un piccolo battello, anche questo molto comodo, in legno, basso, con cuscini sulle panche.
Si naviga sul grande Mekong, si vede qualche piccola comunità con palafitte in legno o in canne e tetti di lamiera ondulata, si incrociano alcune canoe e qualche barca.
La prima sosta è per timbrare l'uscita dalla Cambogia sul passaporto. si naviga per un altro po', poi si arriva all'ufficio immigrazione vietnamita. Qui le cose sono più lunghe e ci mettono ad aspettare in una sala d'attesa. Risolte le formalità burocratiche e ripartiti, il battello lascia il Mekong e si infila in uno dei tanti canali del suo delta, fino ad arrivare sul fiume Hau Giang. Qui si incontrano più barche e si vedono molte più case adagiate sulle rive, incrociamo anche qualche villaggio di case galleggianti, case costruite su piattaforme tenute a galla da dei vecchi bidoni vuoti. Tantissime antenne per la televisione spuntano dai tetti, mi sembrano tante mani protese verso il cielo ad aspettare che cada qualcosa.
Dopo circa quattro ore di navigazione sbarchiamo a Chau Doc, cittadina che vede tanti viaggiatori che attraversano il confine tra Vietnam e Cambogia per via fluviale. Dal molo vado in centro a piedi, poco lontano, e mi sistemo in un hotel vicino al mercato. Prima di andare a letto faccio una passeggiata sul piacevole lungofiume.
Il mattino seguente, sul lungofiume, una signora mi propone un giro in barca per visitare il villaggio galleggiante di fronte a Chau Doc. Una piccola barchetta, di quelle tipiche di questa zona, dove il vogatore stà in piedi, nel mio caso la vogatrice, con il classico cappello a cono del Vietnam. Passiamo tra le casette galleggianti, dove le persone del posto fanno le loro solite cose, tra canali, imbarcazioni e case con sotto delle reti che trattengono allevamenti di pesci, e la signora mi porta anche su una di queste case a vedere da vicino un allevamento. C'è anche chi pesca, su delle barchette o su delle canoe, chi lavora il pesce in pseudo-fabbriche sempre galleggianti, distese di pesce aperto e messo ad essicare, chi cucina e chi mangia, vecchi e bambini. Uno scorcio diverso di vita quotidiana.

martedì 11 maggio 2010

# S21 e Choeung Ek

Da non perdere a Phnom Penh la visita alla vecchia scuola Tuol Seng, che durante gli anni della “Kampuchea Democratica” venne trasformata in prigione, col nome S-21, designata a detenzioni, interrogatori, torture disumane e uccisioni, in molti casi fotografate e documentate.
Dall'anno della vittoria dei Khmer Rossi, il 1975, alla “liberazione” da parte dei vietnamiti comunisti, nel 1979, circa 20000 persone, tra cui donne e bambini, furono detenute, torturate ed infine fatte sparire in fosse comuni nel campo di sterminio di Choeung Ek, a una quindicina di chilometri dal centro.
Il museo mette paura. Già prima di entrare, vicino al cancello, oltre ai venditori ambulanti e le moto, ci sono uomini che mi chiedono l'elemosina, probabilmente vittime di mine antiuomo o incidenti, mutilati, chi senza un braccio, chi senza una gamba, chi si trascina sui gomiti con dei moncherini al posto delle mani e delle gambe, e poi uno mi tira la maglia e mi porge un cappello, mi giro e vedo, solo per un attimo, di più non riesco a guardarlo, la sua faccia completamente ustionata, con solo un occhio, come se avesse una maschera di cera fusa su tutta la testa. Mi butto di corsa all'interno e in un attimo il caos si placa.
Silenzio. Pace.
Una signora poco lontano mi fa cenno che è a lei che devo dare i due dollari per l'entrata, poi mi da un volantino con la descrizione del sito e alcuni cenni storici, da un lato in inglese, dall'altro in cambogiano, con foto sullo sfondo di un edificio della scuola e di alcune persone sparite li dentro.
Quando entrarono i vietnamiti, trovarono 14 corpi (tra cui una donna) quasi in decomposizione, in altrettante stanze, incatenati alle brande, torturati e massacrati. I loro resti sono sepolti nel cortile di fronte. Le prime sale che visito sono queste, con ancora le brande, qualche accessorio e le barre per incatenare, alla parete le foto del cadavere appena trovato. Il colore dei muri, le mattonelle, le sbarre alle finestre, le porte che cigolano, tutto mette i brividi.
Nel secondo edificio ci sono tristissimi pannelli con migliaia di fotografie di uomini e donne, sono tutte persone “sparite” qua dentro. In alcuni pannelli ci sono le foto dei detenuti prima e dopo la tortura a morte. Impressionante, nauseante, ti fanno incazzare e ti senti impotente, ti fai tante domande ma alla fine la risposta è solo una: gli uomini sono cattivi.
Ci sono anche foto dei ritrovamenti delle fosse comuni nel campo di sterminio e delle ossa e crani accatastati. Tristezza. L'altro edificio ha ancora il filo spinato davanti ai balconi, per evitare che i prigionieri si suicidassero buttandosi giù, all'interno le stanze son state trasformate in tante piccole celle di meno di un metro per due, in mattoni o in legno, mentre nell'ultimo piano le persone venivano rinchiuse tutte insieme in grandi aule.
L'ultimo edificio ha un piccolo santuario con dei teschi provenienti dalle fosse comuni, qualche altra foto e al terzo piano una sala dove viene trasmesso un film documentario sulla vera storia d'amore di un capo regionale dei Khmer Rossi e una ragazza che si innamorano e vengono condannati a morte.
Qualche giorno dopo vado a visitare anche il campo di sterminio di Choeung Ek, dove è stato costruito un santuario in vetro che raccoglie i teschi e le ossa recuperati dalle fosse comuni aperte fin'ora, molte non sono state aperte. Camminando tra questi scavi, a volte capita di vedere per terra qualche frammento di ossa, poi ci sono delle teche dove alcuni di questi frammenti sono stati raccolti, insieme a denti e resti di vestiti.
Certo che passeggiando per le strade della Cambogia, tra i banchi dei mercati, seduto al tavolino di un bar, mi viene il dubbio e la paura che molti degli uomini tra i 45 e i 60 anni che incrocio possano aver strappato unghie, pinzato capezzoli e testicoli, rotto ossa, dato la scossa, quasi annegato, massacrato e ucciso a bastonate degli altri esseri umani senza un valido motivo, perché qua, in Cambogia, nessuno è stato accusato, incolpato, punito.
Tutto è stato e basta.
E cosi sia!

gigipeis

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