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martedì 11 maggio 2010

# S21 e Choeung Ek

Da non perdere a Phnom Penh la visita alla vecchia scuola Tuol Seng, che durante gli anni della “Kampuchea Democratica” venne trasformata in prigione, col nome S-21, designata a detenzioni, interrogatori, torture disumane e uccisioni, in molti casi fotografate e documentate.
Dall'anno della vittoria dei Khmer Rossi, il 1975, alla “liberazione” da parte dei vietnamiti comunisti, nel 1979, circa 20000 persone, tra cui donne e bambini, furono detenute, torturate ed infine fatte sparire in fosse comuni nel campo di sterminio di Choeung Ek, a una quindicina di chilometri dal centro.
Il museo mette paura. Già prima di entrare, vicino al cancello, oltre ai venditori ambulanti e le moto, ci sono uomini che mi chiedono l'elemosina, probabilmente vittime di mine antiuomo o incidenti, mutilati, chi senza un braccio, chi senza una gamba, chi si trascina sui gomiti con dei moncherini al posto delle mani e delle gambe, e poi uno mi tira la maglia e mi porge un cappello, mi giro e vedo, solo per un attimo, di più non riesco a guardarlo, la sua faccia completamente ustionata, con solo un occhio, come se avesse una maschera di cera fusa su tutta la testa. Mi butto di corsa all'interno e in un attimo il caos si placa.
Silenzio. Pace.
Una signora poco lontano mi fa cenno che è a lei che devo dare i due dollari per l'entrata, poi mi da un volantino con la descrizione del sito e alcuni cenni storici, da un lato in inglese, dall'altro in cambogiano, con foto sullo sfondo di un edificio della scuola e di alcune persone sparite li dentro.
Quando entrarono i vietnamiti, trovarono 14 corpi (tra cui una donna) quasi in decomposizione, in altrettante stanze, incatenati alle brande, torturati e massacrati. I loro resti sono sepolti nel cortile di fronte. Le prime sale che visito sono queste, con ancora le brande, qualche accessorio e le barre per incatenare, alla parete le foto del cadavere appena trovato. Il colore dei muri, le mattonelle, le sbarre alle finestre, le porte che cigolano, tutto mette i brividi.
Nel secondo edificio ci sono tristissimi pannelli con migliaia di fotografie di uomini e donne, sono tutte persone “sparite” qua dentro. In alcuni pannelli ci sono le foto dei detenuti prima e dopo la tortura a morte. Impressionante, nauseante, ti fanno incazzare e ti senti impotente, ti fai tante domande ma alla fine la risposta è solo una: gli uomini sono cattivi.
Ci sono anche foto dei ritrovamenti delle fosse comuni nel campo di sterminio e delle ossa e crani accatastati. Tristezza. L'altro edificio ha ancora il filo spinato davanti ai balconi, per evitare che i prigionieri si suicidassero buttandosi giù, all'interno le stanze son state trasformate in tante piccole celle di meno di un metro per due, in mattoni o in legno, mentre nell'ultimo piano le persone venivano rinchiuse tutte insieme in grandi aule.
L'ultimo edificio ha un piccolo santuario con dei teschi provenienti dalle fosse comuni, qualche altra foto e al terzo piano una sala dove viene trasmesso un film documentario sulla vera storia d'amore di un capo regionale dei Khmer Rossi e una ragazza che si innamorano e vengono condannati a morte.
Qualche giorno dopo vado a visitare anche il campo di sterminio di Choeung Ek, dove è stato costruito un santuario in vetro che raccoglie i teschi e le ossa recuperati dalle fosse comuni aperte fin'ora, molte non sono state aperte. Camminando tra questi scavi, a volte capita di vedere per terra qualche frammento di ossa, poi ci sono delle teche dove alcuni di questi frammenti sono stati raccolti, insieme a denti e resti di vestiti.
Certo che passeggiando per le strade della Cambogia, tra i banchi dei mercati, seduto al tavolino di un bar, mi viene il dubbio e la paura che molti degli uomini tra i 45 e i 60 anni che incrocio possano aver strappato unghie, pinzato capezzoli e testicoli, rotto ossa, dato la scossa, quasi annegato, massacrato e ucciso a bastonate degli altri esseri umani senza un valido motivo, perché qua, in Cambogia, nessuno è stato accusato, incolpato, punito.
Tutto è stato e basta.
E cosi sia!

gigipeis

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